Altro che italexit. Qui siamo al nordexit

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A quanto pare, se il 17% dei consensi non va bene per rompere l’Unione Europea in vista di una possibile uscita dell’Italia dal gabbio dell’euro, va benissimo per portare avanti l’autonomismo del nord. E anticipo i rompiglioni del contratto: che non ci sia l’italexit nel contratto e ci sia l’autonomismo, è solo la scusa formale alla quale aggrapparsi per non vedere la realtà. E lo è perché il problema non è che non ci sia un piano B dentro il cassetto di Salvini e Di Maio, ma lo è perché ormai è chiaro che non è mai esistita nemmeno l’intenzione di studiarlo quel piano, mettendo nel forno quelle “riforme” minime propedeutiche all’uscita. I minibot e l’abrogazione del pareggio di bilancio in Costituzione sono infatti anch’esse riforme scritte nel contratto di Governo. Eppure, nonostante nella scala delle priorità avrebbero dovuto essere al primo posto, si è preferito portare avanti l’assurda riforma del taglio dei parlamentari, che degrada ancora di più la rappresentatività del Parlamento nazionale; e, soprattutto (e qui veniamo al punto), gli si è affiancata la riforma delle autonomie che nelle intenzioni nordiste è necessaria per ottenere una sorta di light secession, costruita abilmente sul doppio fattore dei trasferimenti delle competenze statali ex-art. 116 e sul maggior trattenimento degli introiti fiscali a livello regionale (cosiddetta autonomia differenziata).

Le implicazioni sono più o meno note. Se si ammettesse davvero il maggiore autonomismo ex-art. 116 in favore delle regioni del nord, e soprattutto se lo si ammettesse con il trattenimento di una buona parte dei trasferimenti fiscali, il rischio di rottura dell’unità nazionale diventerebbe un fatto compiuto dal quale non sarebbe più possibile tornare indietro. E a nulla varrebbe affermare che, in fin dei conti, questo prevede la Costituzione. Ricordo infatti a costoro che la riforma del titolo V in base alla quale si cerca di attuare l’autonomismo differenziato è quella riforma scellerata approvata senza dibattito pubblico nell’ormai lontano 2001; riforma che, tra l’altro (perché in questo paese al peggio non c’è mai fine), costituzionalizza il famigerato vincolo esterno in favore dell’ordinamento comunitario. Dunque, pur ammettendosi che si starebbe procedendo in conformità della carta, la verità è che quella conformità è riferita a una parte del suo corpus del tutto estranea allo spirito primigenio della Costituzione del 1948 che non era né voleva essere federalista.

La Lega con il suo 17%, dopo anni di propaganda no-euro, non riesce a mettere in cantiere i minibot, né la controriforma degli artt. 81 e 97 della Costituzione, ma può portare avanti senza particolari problemi la battaglia “migliana” federalista che, guarda caso, è il pallino della vecchia Lega Nord. Il che mi fa ormai pensare che, alla fine, il sovranismo leghista sia stato solo una promo elettoralistica portata avanti negli anni per costruirsi un consenso oltre il nord, e attraverso quel consenso poi offrire al nord l’occasione per raggiungere il proprio obiettivo “macroregionale” sovranazionale, ben illustrato in questo comunicato del 2013 sul sito della Regione Veneto (roba da far accapponare la pelle).

La verità è che oggi i sovranisti sono nuovamente orfani di un partito sovranista, e cioè di un partito di massa che mandi avanti le proprie istanze: il ritorno alla sovranità nazionale, il ritorno alla moneta nazionale, e il ripristino della Costituzione del 1948. Di più, l’essersi affidati a un partito che nel suo DNA è profondamente liberista e autonomista e che da sempre ha considerato il sud un peso rispetto al nord produttivo, pensando forse ingenuamente che potesse trasformarsi in un partito nazionale-sovranista, rischia di fermare irrimediabilmente l’ondata sovranista, restituendola agli zerovirgolisti, con l’aggravante della dissoluzione dell’unità nazionale attraverso l’autonomismo differenziato.

C’è ancora speranza? Non lo so. Personalmente vedo grosse nubi grigie all’orizzonte e intravedo l’arrivo di un nuovo governo tecnico, pronto a fare la necessaria “macelleria sociale” per tenerci dentro l’euro e i folli parametri del fiscal compact. Perché è così che vogliono i francesi, i tedeschi e le grandi banche d’affari, almeno finché la nostra martoriata patria non verrà smembrata del tutto, sia politicamente, sia socialmente e sia, soprattutto, economicamente. E purtroppo per noi, non vedo, non dico eroi della patria, ma almeno una classe politica realmente patriottica che sia pronta a difendere l’integrità nazionale e la sovranità. Vedo solo personaggi che, in nome della ormai logora responsabilità da vincolo esterno, saranno disposti ad approvare di tutto, compresa l’autonomia e gli ulteriori tagli alla spesa pubblica, come del resto è già accaduto nel 2012. Perché, come è noto, la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Una farsa che rischia però di essere altrettanto tragica.

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