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La Lega spinge per l’autonomismo del nord, sfruttando la brutta riforma del 2001 che prevede appunto l’autonomismo differenziato (in sintesi, la concessione di maggiore autonomia su determinate materie concorrenti o esclusivamente statali, su richiesta delle regioni). Una pressione alla quale il partito di Matteo Salvini (a sua volta incalzato dalle regioni del nord) sembra non voglia rinunciare. Una pressione che però subodora troppo di dissolvimento della causa no-euro e della prospettiva italexit, onde perseguire il progetto di un’Europa delle (macro)regioni.
Ho già parlato delle implicazioni terribili dell’autonomismo qui (ma se volete approfondire, ottimamente qui). Qui vorrei solo ribadire un concetto che potrebbe sfuggire ai più, soprattutto ai “tifosi” che pensano davvero che la Lega abbia un progetto no-euro nascosto in qualche cassetto e che sia solo una questione di tempo. Alla Lega interessa principalmente l’autonomismo del nord; quel nord che però non ha interesse a uscire dall’euro, perché legato a doppio filo (ormai da qualche decennio) all’economia tedesca. Uscire dalla moneta unica significherebbe recidere quel rapporto e rimettersi in gioco. Significherebbe perdere commesse e dunque produzione (il contoterzismo è un riflesso delle politiche ordoliberiste). Una prospettiva dura da accettare, anche perché il nord “produttivo” ragiona in termini neoliberisti e considera le politiche liberiste e supply side come risolutive. Ergo, considera lo Stato nazionale unitario sociale, basato e costruito sulla Costituzione del 1948, come un intralcio e un’idrovora di denaro pubblico, che deve essere depotenziato e ridotto hayekianamente al minimo. Perciò, l’autonomismo, e non anche l’italexit, è considerato la vera rivoluzione che potrebbe finalmente liberare le potenzialità del nord.
Il processo di rafforzamento delle autonomie appare perciò un formidabile “alleato” dell’europeismo nel lungo processo di disarticolazione dello Stato unitario nazionale. E’ chiaro infatti che le relazioni tra la burocrazia europea e le macroregioni possono essere più semplici e meno complesse: una regione ha una sovranità depotenziata rispetto a quella rivendicabile da uno Stato nazionale. In questa chiave devono essere lette sia tutte le spinte autonomiste e federaliste che si verificano ormai da qualche decennio in tutta Europa e sia, nel medesimo quadro, lo sfavore che l’euroburocrazia nutre verso gli Stati nazionali unitari, considerati l’unico vero ostacolo alla nascita del mega-stato europeista. E il fatto stesso che l’euroburocrazia durante la crisi catalana non abbia preso posizione a favore dei catalani, non significa chiaramente nulla (lo dimostra l’atteggiamento in favore della Scozia contro la brexit). Nel lungo periodo, l’obiettivo della macroregionalizzazione, e dunque dell’ulteriore indebolimento degli Stati-nazione, è e rimane un obiettivo primario indefettibile, che deve essere raggiunto gradualmente attraverso il rafforzamento del decentramento amministrativo, dell’autonomismo e attraverso l’affermazione universale del principio di sussidiarietà.
La rivendicata maggiore autonomia del nord, basata sulla pessima riforma del 2001, nella quale – è giusto ricordarlo – viene pure costituzionalizzato il vincolo esterno europeista (la soggezione delle leggi nazionali alla normativa europea), si incardina perfettamente nel progetto di indebolimento dell’unità e della solidarietà nazionale. Affermare pertanto che no, l’autonomismo differenziato non avrà effetti deleteri sull’unità nazionale (e meno ancora nelle relazioni tra l’Italia e l’euroburocrazia), è una sottovalutazione del fenomeno estremamente pericolosa. Soprattutto perché la riforma del 2001 che lo legittima introduce una vera e propria rottura della Costituzione. Cioè, in rapporto ai principi fondamentali, è da considerare un corpo estraneo che non solo dovrebbe rimanere lettera morta, ma dovrebbe essere il prima possibile espulso dal corpus costituzionale attraverso un ripristino integrale delle norme precedenti formulate in sede costituente. Ma ciò, chiaramente, potrà essere fatto solo e se le forze politiche cessino di essere europeiste e/o autonomiste, e tornino a proporsi come forze politiche patriottiche e nazionali, mettendo nuovamente al centro del loro agire politico la Costituzione italiana primegenia.