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Ieri è stata una giornata campale per i referendum, perché la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla loro ammissibilità. Dico subito che non nascondo la mia piena soddisfazione per la dichiarazione di inammissibilità dei referendum su cannabis ed eutanasia. Il primo è stato dichiarato inammissibile perché violerebbe accordi internazionali. Il secondo, perché l’abrogazione dell’art. 579 c.p. (omicidio del consenziente) avrebbe finito per scriminare del tutto la fattispecie.
La mia soddisfazione è chiaramente riferita alla loro inammissibilità, e ciò al di là delle motivazioni. Non mi esprimo su queste motivazioni, se non per dire che, quanto al referendum sulla cannabis, la possibile violazione di accordi internazionali è una ragione che non mi affascina (anzi!). Mentre, per quanto concerne l’eutanasia, ritengo che la Repubblica, pur dovendo doverosamente evitare derive etiche o impositive sulle libertà fondamentali (che già soffriamo a causa di vaccini e green pass), non debba permettere che il semplice consenso possa assurgere a ragione di un omicidio. Gli esiti (e le derive) di questa prospettiva potrebbero essere pericolose per le stesse libertà che si vorrebbero riaffermare con la legalizzazione dell’omicidio del consenziente. Certe porte – come detto in altri contesti – è meglio che rimangano chiuse.
E ora veniamo ai referendum sulla giustizia. La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile quello sulla responsabilità diretta dei magistrati. Che dire in proposito? Nel tempo ho riflettuto molto su questo tematica, e oggi la ritengo un pericoloso riflesso di quell’approccio antipolitico che ha debilitato il nostro sistema democratico. In altre parole, la responsabilità diretta seppure apparentemente sembrerebbe ripristinare “equità”, perché responsabilizzerebbe direttamente il magistrato per gli atti e le decisioni prese nell’esercizio delle proprie funzioni, in realtà finirebbe solo per limitare e condizionare fortemente la sua funzione, fino a paralizzarla del tutto. E io non sono così certo che questo arrecherebbe un beneficio alla giustizia. Del resto, se ci pensiamo bene, la “responsabilizzazione” della politica, con la possibilità per un parlamentare di essere indagato, imputato e condannato nell’esercizio delle proprie funzioni, non ha arrecato alcun beneficio al sistema democratico, anzi, lo ha nettamente peggiorato subordinando il potere legislativo al potere giudiziario. Perciò, la soluzione non può essere ricercata nella diminuzione delle guarentigie dei magistrati, ma deve trovarsi nel ripristino di quelle dei rappresentanti del popolo italiano.
La Corte Costituzionale ha, invece, dichiarato ammissibili gli altri referendum sulla giustizia. Ed ecco la mia opinione e come sarei orientato a votare (il condizionale è d’obbligo perché non posso dare per certo che questo sarà il mio orientamento fino al giorno del voto, ma è chiaro che qualora dovessi cambiare idea, sarà mia premura farvelo sapere).
Candidature al CSM. Questo referendum chiede l’abrogazione della norma che prevede che il magistrato che intenda candidarsi alla carica di membro del CSM debba trovare da 25 a 50 firme. Per quanto mi riguarda, non ho un’opinione così assoluta sul punto. Posso solo dire che l’eliminazione delle firme permette a qualunque magistrato di candidarsi. Per cui, aprirebbe le porte della candidabilità a tutti i magistrati e non solo a quelli che hanno un certo sostegno o appartengano ad associazioni. Che poi costui abbia possibilità di essere eletto, è un discorso diverso. Per quanto mi riguarda, sarei orientato sul SI, anche se credo cambierebbe ben poco nella pratica. Il magistrato che si candiderà avendo dietro un’associazione avrà comunque più possibilità di essere eletto.
Separazione carriere. Dopo quello sulla responsabilità diretta (inammissibile), è sicuramente quello più “pesante”, quanto meno relativamente alla figura del magistrato. In sostanza, questo referendum propone l’abrogazione della norma che permette a un magistrato di passare liberamente dalla funzione giudicante (giudice) a quella requirente (pubblico ministero) e viceversa. Qualora vincesse il SI, il cittadino che diventa magistrato, dovrà scegliere se esercitare la propria funzione come pubblico ministero o come giudice. Fatta la scelta, non sarà più possibile cambiare (salvo concorsi interni). Personalmente, sarei orientato al SI. Ritengo, infatti, corretto che le due carriere siano separate, pur nel pieno rispetto degli artt. 101-108 Cost., e in particolare dell’autonomia del potere giudiziario. Eppure anche qui è necessario precisare che la vittoria dei SI si limiterebbe ad abrogare una possibilità, ma non andrebbe a inserire un divieto, sicché sarebbe comunque compito del Parlamento, adeguare la normativa all’esito referendario. E qui sorge la domanda: lo farà?
Carcerazione preventiva. Il referendum mira ad abrogare la misura cautelare della carcerazione preventiva in caso di pericolo di reiterazione del reato, salvo che si tratti di reati gravi (es. omicidio, traffico di droga, corruzione ecc.). Anche qui, probabilmente, voterei SI, anche se poi, già oggi, per i reati meno gravi o comunque di basso impatto sociale è raro che venga disposta la carcerazione. Piuttosto, il giudice si orienta sulla misura degli arresti domiciliari.
Legge Severino. Questa è la “famigerata”legge che prevede l’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna anche non definitiva. Una norma iniqua che – a mio parere – contrasta con l’art. 27 Cost. (principio di non colpevolezza fino a sentenza definitiva), e che risulta altresì ingiustificabile sul piano dell’etica e della morale: la legge non deve imporre norme etiche o morali, deve piuttosto attenersi alle direttive costituzionali, che questa norma neutralizza sulla base di ragionamenti del tutto estranei al diritto. Ecco perché anche qui sarei orientato sul SI.
Consigli giudiziari. Il referendum mira a eliminare la norma che non permette che, nei consigli giudiziari (i consigli che, territorialmente, giudicano e decidono sui magistrati), i membri “laici”, come avvocati e professori universitari, possano partecipare attivamente alla valutazione dei magistrati. Anche qui, l’orientamento sarebbe sul SI.
Per completezza, ricordo che parliamo di referendum abrogativi, che necessitano del quorum di validità (dovrà votare la maggioranza degli aventi diritto). Qualora si voti SI, la norma oggetto del referendum verrà abrogata. Qualora si voti NO, la norma rimarrà in vigore. In altre parole, raggiunto il quorum di validità, l’esito verrà deciso in un senso o nell’altro a maggioranza dei voti validamente espressi.