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Sono dati elaborati dal think tankCep (Centre for European Policy) di Friburgo. Chi vince e chi perde dall’ingresso nell’euro. Ebbene l’Italia è fra le perdenti. Ultima in classifica con la maggiore perdita in termini di prosperità (fisco, occupazione e produzione), abbiamo bruciato la bellezza di 4300 miliardi di euro, che pro-capite fanno all’incirca 73 mila euro.
Una vera ecatombe. E indovinate un po’ chi invece dall’ingresso nell’euro ci ha guadagnato? Naturalmente sempre loro: i tedeschi. Infatti, dall’ingresso nella moneta unica, la Germania ha guadagnato in termini di prosperità 1893 miliardi di euro, che più o meno, pro-capite fanno all’incirca 23 mila euro.

Il think thank naturalmente attribuisce la minore crescita italiana agli italiani, rei di non aver fatto le riforme strutturali, che tradotto significa privatizzare e vendere tutto ciò che è privatizzabile e vendibile; significa drastica riduzione della spesa pubblica e del debito pubblico (Stato snello liberale), che implica a sua volta l’abbattimento e il ridimensionamento dello Stato sociale, con annessa archiviazione delle finalità costituzionali identificate nella prima parte della carta: quella più allergica ai trattati europei, e per questo volutamente ignorata negli ultimi vent’anni.
Insomma il nostro malessere sarebbe dato dal fatto che ancora non abbiamo sacrificato i nostri primogeniti. Che sono quelli che da anni ci chiedono a gran voce.
Ma la verità è un po’ diversa. I dati dimostrano soprattutto il totale fallimento dell’euro. Dimostrano che, all’interno di un sistema (di cambi fissi) nel quale un paese gode del vantaggio di una moneta più debole della sua economia e l’altro invece subisce gli svantaggi di una moneta più forte della sua economia, non è possibile che entrambi possano prosperare. Dunque uno dei due alla fine è destinato a soccombere e a farsi colonizzare. Nell’euro, i paesi che soffrono lo strapotere tedesco sono più di uno: non solo l’Italia, ma come si può evincere dal grafico (su), più o meno tutti i paesi dell’eurozona hanno subito una diminuzione della prosperità dall’ingresso nella moneta unica. Tutti tranne la Germania.
E’ chiaro dunque che esiste solo una soluzione perché l’Italia recuperi la propria competitività: ed è l’uscita dalla moneta unica. Ma per farlo è necessario avere una classe dirigente determinata e consapevole che il nostro paese non potrà reggere ulteriormente le folli regole eurogermaniche. La domanda dunque è sempre la stessa: esiste questa classe dirigente? Oppure l’idea ordoliberista nel nostro paese è talmente radicata, che davvero si è convinti che per crescere sia necessario radere al suolo lo stato sociale, le piccole e medie imprese, e calpestare ulteriormente la carta fondamentale nei suoi principi? Ai posteri l’ardua sentenza.