Confessione di una ex-liberista

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Stanotte ho trovato questo lunghissimo commento sotto un mio post. All’inizio l’ho letto distrattamente, poi con sempre più interesse. Ve lo propongo, dopo aver apportato alcune correzioni di refusi (e mi perdonerà l’autrice), cercando però di mantenere integro il commento. 

Gentile ilpetulante,
le scrivo questo commento perché ho deciso di confessarmi. Ebbene sì: ero una liberista. Lo sono stata per almeno trentacinque anni e forse persino di più. In verità non ricordo nemmeno quando lo sono diventata. Forse quando ero ancora bambina e sentivo i miei che si lamentavano tutto il tempo delle tasse e dei dipendenti pubblici (salvo poi incoraggiarmi a diventarlo perché erano quelli che stavano meglio).
Credo comunque che tutto è iniziato quando ero alle superiori. E’ stato allora che ho cominciato a pensare che il libero mercato era il futuro: l’America, del resto, con i suoi film e i suoi telefilm, sembrava un modello di libertà. Perché – mi chiedevo – non importare quel modello qui da noi? 
La verità è che odiavo il pubblico e adoravo il privato, che percepivo come più efficiente e meritocratico. Non mi accorgevo, in verità, che quelle mie percezioni erano il frutto di una subdola propaganda che aveva iniziato a dare frutto in me, almeno fin dagli anni ’90, con la caduta del muro di Berlino. Evento, questo che mi ha dato l’idea falsa che l’occidente rappresentasse la libertà e che, dunque, la vittoria sul comunismo avrebbe garantito la libertà per gli anni a venire.
Nella mia infinita ignoranza, non mi accorgevo che quel fatto storico, in realtà, segnava l’inizio della fine della libertà. Ma all’epoca ero troppo stupida, troppo ignorante in economia, per capire che quella contrapposizione ideologica, andata avanti per anni, aveva un suo perché: manteneva un’equilibrio che con il crollo del muro era stato spezzato.
Dunque, per tutti gli anni ’90, ho creduto che la via per crescere fosse lo Stato minimo, fosse la privatizzazione di tutto ciò che era privatizzabile, e che lo Stato dovesse occuparsi di poche cose ma fatte bene. Pensavo che il debito pubblico fosse il male e che, davvero, le nuove generazioni pagavano le spese pazze delle precedenti con l’inflazione, le pensioni baby, i privilegi dei politici. Insomma, per dirlo chiaro: ho gioito quando hanno abrogato l’autorizzazione a procedere contro i parlamentari, e ho gioito stupidamente per l’epoca di Mani Pulite.
Quanto all’Europa, mi lasciava indifferente. Non riuscivo a cogliere le connessioni. Internet non era ancora diffusa e dunque le occasioni per informarsi, allora, erano poche e tutte offerte dai giornali, che incensavano l’Europa e spingevano per l’ingresso nell’euro. Ricordo che all’idea, io ero particolarmente incuriosita, e quando mi sono ritrovata la prima moneta dell’euro in mano, ho pensato che stavamo diventando come l’America. Non immaginavo che stavamo entrando in un incubo economico.
Tuttavia, continuavo a credere che il libero mercato fosse la via, e che lo Stato e il generale il pubblico fossero i veri problemi di questo paese.
Non posso naturalmente narrare tutta la mia vita con i dettagli. E non vorrei annoiarla. Dunque, cerco di riassumere. Con la crisi del 2011 gli occhi hanno iniziato ad aprirmisi. Ho iniziato a leggere, a cercare di capire di più sull’economia, scoprendomi fortemente ignorante e deficitaria. Soprattutto costretta nelle maglie della propaganda. Ho scoperto il neoliberismo e il suo rapporto con l’europeismo. Ho appreso i meccanismi sul debito, poi ho letto diversi libri (quello del prof. Bagnai e poi del prof. Barra Caracciolo, di cui ho letto molte cose anche nel blog orizzonte 48, ma anche molti siti come scenari economici, byoblu ecc.). Poi, ho scoperto il suo blog… ed eccomi qui. La seguo su Twitter e mi piace quello che scrive (e no, non le dico chi sono :-))…
Quello che vorrei dirle è questo: non posso dirmi di sinistra, ma nemmeno di destra. Dalla prima ho acquisito la mia nuova sensibilità economica, l’idea di socialità, di equità, di condivisione, di eguaglianza. Dalla destra, ho preso l’idea di identità e di cultura italiana. Da entrambe ho preso l’idea di patria e nazione, anche se poi vengono percepite con sfumature diverse. Sono quella che oggi si potrebbe definire una “rossobruna” o una “sovranista”. E ne sono felice. Perché ho trovato il mio equilibrio politico, il mio pacchetto ideale di valori e di idee, che con il liberismo non avevo. Ora infatti mi rendo conto che il liberismo non ha valori, non ha etica, non possiede il senso di patria e di nazione. Al centro del liberismo ci sono solo il mercato e il profitto: il *do ut des*. L’unica legge che conta: tu vuoi curarti? Paga. Se non paghi, non potrai curarti. Tu vuoi istruirti? Paga. Se non paghi non potrai istruirti. E quella che credevo un mito, l’America, oggi mi sembra un incubo dove le persone senza un’assicurazione decente, non possono curarsi, dove i farmaci costano un occhio della testa… Dove, appunto, conta il profitto e tutto il resto è affidato al buon cuore delle persone e non al dovere dello Stato di cercare la giustizia sociale.
E noi stiamo scivolando lentamente verso quel sistema, e l’idea che io per anni vi ho contribuito mi far star male, mentre guardo i miei figli crescere in un mondo dove forse curarsi sarà una questione di assicurazioni!!!
Ho ancora molto da imparare, anche se grazie a tutti voi, riesco a capire molte più cose di questo paese e del nostro futuro… 
Grazie

F.

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