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La domanda che corre sui social, in ragione della cancellazione del profilo di Trump dalla piattaforma di Twitter, per una supposta violazione dei loro termini di servizio, è se un social abbia il diritto di censurare chiunque, sulla base delle proprie idee, argomentando sul fatto che in fondo pur trattasi di un rapporto commerciale tra il social (società privata) e l’utente, sicché quest’ultimo, iscrivendosi al servizio, ha stipulato un contratto con una serie di clausole che attribuiscono alla piattaforma il diritto di cancellare, modificare o oscurare un profilo e i contenuti che violano le sue regole.
Di primo acchito la risposta sembra essere affermativa. Sì, abbiamo una società privata che fissa le regole (policy), che se non vengono rispettate, le permettono di attuare quella “censura” che tanto indigna. Ma – appunto – di primo acchito, perché questo ragionamento funziona (e comunque sempre fino a un certo punto) finché parliamo di un blog frequentato da un centinaio di utenti che passano di lì per caso (come nel caso del mio blog). Tutto però cambia quando parliamo di una piattaforma social che vede iscritti milioni di utenti che mettono in una piazza virtuale i loro dati personali, i loro gusti, le loro idee, le loro facce e i loro contenuti, e attraverso la quale si fa inoltre comunicazione politica, anche ai più alti livelli.
Ebbene, seppure in questo caso parliamo sempre di una società privata (o di un privato) che stipula un contratto con un utente, il flusso dei dati rilasciato dagli utenti (usati per offrire pubblicità contestuali) è tale e tanto che ciò che è “fatto privato” (il rapporto utente-piattaforma) diventa inevitabilmente di rilevanza pubblica. La funzione dei social, in altri termini (proprio per la loro capacità di attrarre milioni di utenti e di veicolare velocemente idee, comunicati, contenuti, gusti e profili a un’enorme platea di lettori), diventa di interesse pubblico. Sicché tale funzione esce inevitabilmente dalla sfera di potere della società che gestisce il social, per divenire funzione che appartiene alla comunità politica. In questo contesto, l’amministrazione della piattaforma non può più stabilire, a proprio esclusivo giudizio e in base alla propria policy, chi può usare la piattaforma e chi non, cosa si può dire e cosa non si può dire. Questo potere diventa di appannaggio dell’autorità pubblica, che fa le debite valutazioni sulla base delle leggi dello Stato. La società privata che gestisce il social (e sul quale guadagna) può solo segnalare i contenuti che violano la legge all’autorità pubblica, che decide se oscurare o meno il profilo e rimuoverne i contenuti.
Dunque, alla società privata non rimane nessun potere di rimozione? Naturalmente, può sempre rimuovere un profilo o un contenuto che viola i suoi termini di servizio, sempre che queste violazioni attengano a determinati casi specifici che possano danneggiare la stessa società (violazione del proprio copyright, attività di hacking sulla piattaforma, diffusione di malaware e virus), ma mai – dico mai – perché vengono espresse idee ed opinioni, o condivisi contenuti che trasmettono idee e opinioni (come i video). Se poi qualcuno si sente diffamato o vede il proprio copyright violato, allora sarà questo qualcuno a richiedere alla piattaforma la rimozione del contenuto diffamante o illegale, ma sempre sulla base di una legge specifica che legittimi questo potere, e sempre su provvedimento giudiziario.
Insomma, non sembra eticamente, giuridicamente e democraticamente accettabile che un social network privato, che conta milioni di utenti, sulla base di proprie autonome e opache valutazioni, decida, senza alcuna responsabilità, di oscurare o rimuovere un profilo e i suoi contenuti, per le idee espresse e le opinioni date, per quanto non condivisibili e opportune. Perché in tal caso, il social network si pone al di sopra delle legge e diventa unico arbitro in rapporti (quello tra utente che legge e/o ascolta e quello che parla e/o scrive) sui quali non può e non deve avere alcun potere. A meno che non diventi editore. In quest’ultima ipotesi, rientreremmo certamente nell’ambito di un pregnante potere di censura, però questa volta pienamente legale, ma la società che gestisce il social network si assumerebbe anche la piena responsabilità per ciò che pubblicano gli utenti (ed è ciò che, invece, le big social tech non vogliono).
Naturalmente, perché venga riconosciuta la rilevanza pubblica dei social o il loro ruolo di editore, è necessaria una legge che preveda o l’uno o l’altro o entrambi. Ma – e questa è l’altra domanda – ci sarà mai un legislatore tanto coraggioso da proporla? Oppure, anche l’indignazione attuale (quella seguita alla cancellazione del profilo di Trump) finirà in un borbottio senza costrutto, mentre i social continueranno a decidere, senza alcuna responsabilità e in modo arbitrario, cosa può essere pubblicato nelle loro piattaforme?