— Lettura in 3 min.
Faccio una premessa per il lettore, affinché abbia chiara una certa verità. Il sottoscritto non è un fan di Trump. Nel senso stretto del termine. Non ritiene, in altre parole, che Trump sia il salvatore del mondo. In questi quattro anni non ha fatto granché, complice forse il deep state americano, o forse una certa incapacità di tradurre in fatti i proclami (soprattutto sui rapporti USA-UE). Però, è anche vero che, comunque, la sua elezione ha rallentato notevolmente il globalismo e ha introdotto nell’equazione il “trumpismo”, e cioè un ritorno a un approccio politico americano di tipo “isolazionista” o comunque basato sulla “non ingerenza” negli affari degli altri Stati (regola comunque non sempre rispettata nemmeno tra Trump).
Fatta la premessa, la domanda è: davvero Trump ha perso? O invece, rispetto ai proclami dei media di mezzo mondo, che hanno dato la vittoria delle elezioni del 3 novembre a Biden, egli abbia ancora concrete possibilità di diventare 46° presidente USA?
Se devo essere onesto con me stesso e con voi, ho diverse riserve sul fatto che il “biondo” ce la faccia. Ma è chiaro che questo non significa che un ribaltamento del dato elettorale, fortemente contestato per ragioni legate alle presunte irregolarità elettorali (glitch) negli Stati chiave, per le quali sono state avviate una serie di cause legali (lawsuit), possa davvero avvenire. Questo perché Trump e il suo team sembrano abbastanza determinati nel tentare di dimostrare che effettivamente ci sono stati voti sospetti o comunque illegali, che hanno favorito l’avversario, complice pure il disastroso sistema elettorale USA, fatto di voti in presenza, voti per corrispondenza e voti elettronici.
Per cui, si potrebbe anche affermare che esista un certo margine di possibilità, visto pure che Trump si è messo in testa di cambiare i vertici di FBI, CIA, difesa e Pentagono. Tanto che, molti si sono interrogati sul senso di questo ricambio, tenuto conto che fra poco più di due mesi dovrà sloggiare dalla Casa Bianca.
Non posso certo ipotizzare né immaginare le ragioni di questa decisione, se non nel senso che egli preveda di restare a Washington per i prossimi quattro anni. Oppure, nel senso che queste decisioni siano in realtà finalizzate a fare terra bruciata intorno a Biden. I nuovi vertici, fedeli a Trump, potranno in effetti fare una sequela di nomine nel sottobosco dell’amministrazione federale e militare con lo scopo di rendere difficile la transizione e l’amministrazione democratica.
Ma sono solo ipotesi. La terza (forse la più ovvia), è quella della propaganda. Trump cerca di mostrare forza e autorevolezza politica, nonostante tutti i media ormai guardino solo a Biden e alla restaurazione globalista. Anche questa è un’ipotesi fondata, soprattutto qualora la si legga in chiave di candidatura alle prossimi presidenziali (2024).
In ogni caso, tutti ammettono che se anche Trump non sarà più presidente USA e non si candiderà nel 2024, il trumpismo, inteso come approccio politico negli affari interni ed esteri degli Stati Uniti, non morirà. Anzi, questo è destinato a diventare corredo genetico della nuova generazione repubblicana.
Tre addendum devono essere fatti in merito alla querelle elettorale e alle possibilità di vittoria trumpiana.
Primo addendum. E’ singolare che Trump, ben conoscendo da tempo i rischi di brogli, soprattutto sul voto postale ed elettronico, non si sia impegnato abbastanza per cercare di arginarli. In collaborazione con il GOP e gli Stati guidati dal GOP (che peraltro sono gli Stati chiave) ben poteva lavorare a una legge che potesse riorganizzare il sistema elettorale, per renderlo più sicuro ed efficiente, senza modificare l’architettura complessiva vecchia di 200 anni. Per esempio, eliminando i voti per posta e quelli elettronici, che sono indegni di un paese civili. Ma è anche vero che, senza la collaborazione democratica, questa strada forse sarebbe risultata difficile se non impraticabile.
Secondo addendum. Le cause legali intentate negli Stati chiave, tutti a guida repubblicana, forse più che miranti a dimostrare eventuali illegalità e irregolarità elettorali, puntano a evitare la certificazione dei voti fino a metà dicembre, quando scadrà il termine per comunicare il risultato ufficiale. In tal caso, i Governatori statali saranno legittimati a nominare i “loro” grandi elettori, che non potranno che essere pro-Trump. Qui l’ipotesi (nota, chi lo scrive non è un trumpiano).
Terzo addendum. Non sfugge che, nella querelle elettorale, dopo un primo momento nel quale i repubblicani sono rimasti “freddi” rispetto alle proteste e alle denunce del Trump’s Team, questi poi abbiamo cambiato approccio. Lo dimostra la significativa dichiarazione di McConnell, potente presidente del Senato USA. Le ragioni di questo cambio di passo, possono essere molteplici. Ma la più probabile è legata al terrore di perdere il controllo del Senato USA.