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La mia riflessione sulla ricorrenza di oggi prende spunto da una riflessione di colui che reputo uno dei più lucidi cultori e studiosi della Costituzione, Luciano Barra Caracciolo, che sul proprio blog, Orizzonte48, spiega con estrema sapienza l’intima connessione tra il 25 aprile e la nostra carta fondamentale.
A tal proposito, è interessante il brano che ho estratto dall’articolo: Il senso del 25 aprile. La “vittoria” che dovremmo difendere. Questo brano è la chiave per comprendere in poche e semplici parole perché chi oggi celebra il 25 aprile con un profluvio di retorica antifascista, in realtà rinneghi la legalità costituzionale nata proprio dalla lotta di liberazione.
Abbiamo visto come la “giustizia sociale” inscindibile dal principio della tutela del lavoro, sia, sul piano economico e politico, il vero fulcro di questa Costituzione: questa è la sostanza della “democrazia necessitata”, secondo il noto termine elaborato da Mortati, ed è dunque questo esito, sancito nel Patto fondamentale tra tutte le componenti della Nazione, a dare oggi il senso del 25 aprile.
Un senso che ben possiamo raccordare alla indipendenza, cioè alla sovranità italiana verso l’esterno, che non può essere negata che a condizioni ristrettissime.
Queste parole fanno parecchio riflettere sulla discrasia tra il “celebrazionismo” ideologico a cui è sottoposta da anni la ricorrenza storica e il processo di vuotamento della Costituzione del 1948. Un processo che – è bene dire – quasi si nutre di quel celebrazionismo così partigiano e divisivo che oggi connota la ricorrenza.
Del resto, non è difficile capirlo se ben si conoscono le dinamiche di vuotamento della sovranità nazionale e di emarginazione di ampi settori della Carta fondamentale, proprio a causa di un processo sostenuto (consapevolmente o meno) da chi oggi celebra con pomposa retorica la liberazione, esaltando ciò che però è l’esatto contrario dei valori e della legalità costituzionale nata da quella liberazione: l’europeismo e la desovranizzazione nazionale.
La verità non detta è che oggi la celebrazione del 25 aprile è interamente funzionale alla delegittimazione e alla sconfessione della sovranità nazionale, contrabbandata dalla propaganda come una sorta di fascismo di ritorno che minerebbe invero il grande progetto europeista, il quale, però, si rivela essere un progetto epistocratico e plutocratico che mina la ragione storica della liberazione nazionale e nega altresì la democrazia popolare cristallizzata nella Costituzione, la cui genesi affonda proprio negli eventi storici del 1945.
In realtà, però, non ci si deve meravigliare più di tanto di questa amara e veritiera constatazione. La stessa rivalità preconcetta che tuttora alimenta la commemorazione del 25 aprile è invero una rivalità posticcia, fomentata da coloro i quali, fin dagli albori della Repubblica, hanno sempre avuto interesse a evitare che attorno alla Costituzione repubblicana si formasse una forte coesione nazionale, presupposto fondamentale e ineliminabile perché la neonata democrazia popolare divenisse una democrazia solida e compiuta. L’interesse precipuo, del resto, era (ed è) che l’Italia rimanesse ben ancorata alla sfera di influenza anglo-americana prima e a quella franco-tedesca poi. Non già, dunque, una nazione realmente indipendente e sovrana, ma una nazione a sovranità limitata, che subisca inevitabilmente le pesanti e determinanti influenze (geo)politiche ed economiche delle nazioni di qua e di là dell’Atlantico.
Davanti a questa consapevolezza, si potrebbe amaramente sostenere che se c’è davvero una nazione che oggi ha perso in tutti i sensi la seconda guerra mondiale, questa non è certo la Germania, che non solo si è ripresa dal conflitto, ma domina oggi (beffardamente) l’Europa, imponendo il proprio modello economico e sociale, bensì è il nostro paese, il quale, sostituendo il proprio modello con quello tedesco, ha sconfessato la carta repubblicana nata dalla liberazione e ha svilito, in questo modo, l’essenza stessa della democrazia popolare di cui quella carta è portatrice indefettibile.