Il grande “reset”

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E’ da dire che “Il grande reset” sembra, in verità, il titolo di un libro distopico o comunque di fantascienza. Ma la verità è che il titolo (fatto proprio dal Time) è tutto ciò che noi stiamo vivendo oggi, tanto che, probabilmente, la locuzione verrà utilizzata in futuro, sui libri di storia, per spiegare proprio questo periodo storico.

Ma ciò non è affatto consolante. Perché, il “grande reset”, effettivamente, rimanda a una realtà distopica, o comunque a una fase storica nella quale si stanno rimettendo in discussione i principi democratici (suffragio universale, diritto di voto ecc.) e le libertà fondamentali, come il diritto alla manifestazione della propria fede religiosa, il diritto alla dignità nel lavoro, il diritto al lavoro, il diritto a esprimere liberamente le proprie opinioni, e persino il diritto alla libertà personale e di movimento.

La pandemia da Coronavirus, dunque, diventa il veicolo attraverso il quale rimettere in gioco tutte le conquiste democratiche e sociali riconosciute nel ventesimo secolo. Si cerca di reinventare la democrazia come oligarchia e/o epistocrazia scientista/tecnologica (che io definisco “governo dei saccenti tecnocratici”), sul presupposto che le “masse ignoranti” altrimenti votano “populismo”, dando in questo senso al fenomeno una connotazione volutamente negativa, perché capace di ridestare o tenere viva la coscienza democratica dei popoli, che le élite capitalistiche intendono invece sopprimere o comunque attenuare fortemente in nome della democrazia (e già fa ridere così).

Trattasi, chiaramente, di un grande inganno psicologico e politico. Perché, al fin fine, tutto ciò che non è distopico, e cioè tutto ciò che non si presta alla repressione delle libertà di opinione e movimento secondo i desiderata delle élite, diventa inevitabilmente fascista e xenofobo (la connotazione negativa del populismo). Sicché, diventano legittime le equazioni:

democrazia = repressione;
libertà = fascismo/xenofobia

Sembra una paradosso, ma se guardiamo all’uso del “politicamente corretto” per reprimere il dissenso su determinate tematiche sociali ed economiche, queste equazioni diventano inevitabili, fino al punto che c’è chi davvero ci crede.

E come è intuibile, esiste un’intima connessione con l’economia. Il “grande reset” si riferisce soprattutto al fenomeno economico e alle regole economiche. Sicché qualcuno ha persino pensato che, con il “grande reset”, in realtà, stia perdendo forza l’ideologia neoliberista. E invece, purtroppo, sta accadendo l’esatto contrario. Il neoliberismo, lungi dall’indebolirsi, cerca di sfruttare la pandemia, per rafforzarsi, abbattendo le ultime barriere che lo separano dalla dominazione assoluta del sistema sociale: le democrazie costituzionali. Sicché il politicamente corretto, la denigrazione del populismo e dunque le progressive limitazioni della libertà di opinione e di movimento, diventano gli strumentali ideali allo scopo.

Il “grande reset” dunque è l’occasione propizia per abbattere le ultime barriere che portano verso un sistema globale di dominazione capitalistica digitalizzata, dove gli Stati, e segnatamente le democrazie sociali e popolari, “cadono” e si reinventano come “democrazie liberiste” (una locuzione, questa, che palesa un evidente ossimoro). Cioè, democrazie prive di effettività, dove i diritti sociali e politici sono ridotti all’osso o sono solo un formalismo o enunciazioni di principio, inidonei a realizzare il governo del popolo e comunque incapaci di ostacolare il dominio delle élite che viene esercitato attraverso la subordinazione dello Stato al capitale. Anzi, per certi versi, le “democrazie liberiste” sono un vero e proprio strumento di dominazione neoliberista a loro esclusivo vantaggio.


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