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La digitalizzazione dei servizi e persino dell’identità può sembrare un progresso affascinante che evoca semplicità e immediatezza. Con un ID digitale puoi accedere ai servizi con un click, pagare, comprare e persino studiare. Ma la verità è che la digitalizzazione, concepita in questo modo, ha un suo lato oscuro, o meglio, se vogliamo dirla tutta, è il lato oscuro.
Tutti noi, affascinati dalla comodità di acquistare un prodotto con un click, di interagire con l’amico che sta dall’altra parte del globo, di diffondere le nostre idee oltre la cerchia di amici e famigliari, abbiamo ceduto e continuiamo a cedere al lato oscuro della digitalizzazione. Di più, oggi Essi hanno reso questo processo talmente essenziale, che è quasi impossibile (e improponibile) tornare indietro. E anzi, Essi spingono perché la digitalizzazione dell’individuo sia completa, sicché non sia possibile fare più nulla senza passare per un processo digitale.
Il lato oscuro, però, pochi lo vedono, tanto è affascinante il Male, quando ci si mette. E quei pochi vengono (non a caso), tacciati di complottismo o estremismo, o populismo. Eppure, basterebbe mettere in fila due o tre neuroni per intuire le implicazioni di una società completamente digitalizzata o eccessivamente digitalizzata. Soprattutto, qualora i servizi digitali siano offerti da due o tre big tech che detengono il monopolio dei servizi (dalle piattaforme social ai sistemi di pagamento).
Ma per molti, tutto ciò è poco importante: chissenefrega delle big tech e del loro monopolio, se mi permettono di acquistare un prodotto con un click o di parlare con i miei amici che stanno in Giappone?
Ed è su questo “menefreghismo” che veniamo fregati. Acquistare il prodotto svedese, fatto in Cina, acquistandolo su una piattaforma americana, può sembrare un grande successo, ma è invero un fallimento. Al di là delle implicazioni economiche devastanti (che qui non affronto), un sistema simile crea una dipendenza che rende le big tech (i loro finanziatori e i sistemi di governo poco inclini alla libertà e alla democrazia) i veri controllori delle nostre vite, con il potere di vita e di morte digitale, che – ormai sappiamo – viene esercitato attraverso il ban e l’oscuramento.
La vita digitale, o meglio la completa digitalizzazione delle nostre vite, non è affatto un processo auspicabile e positivo. E’ l’esatto contrario: è la via più sicura verso la distopia del big brother e l’annullamento delle libertà e delle istanze democratiche. Ed è proprio per questo che Essi ci spingono ad abbracciarla completamente, in alcuni casi blandendoci con l’ammaliante possibilità di superare i confini fisici del nostro spazio personale, e in altri casi imponendoci (per il nostro “bene”) l’uso di monete elettroniche e di ID digitali che ci rendono completamente tracciabili e controllabili.
Sicché, la vita digitale, come può permettere di acquistare un prodotto con un click, può essere spenta con lo stesso click. Basterà, appunto, un click, per chiudere il conto bancario, disattivare la carta di credito, o interrompere un servizio di contenuti digitali al quale ci si era iscritti con quell’ID. Ed è questa l’essenza del lato oscuro della digitalizzazione, il lato distopico: il controllo completo sulle nostre vite, sui nostri gusti, sui nostri consumi, sulle nostre relazioni sociali, che implica il potere assoluto di creare un modello di società dove il dissenso è bandito sotto la minaccia della morte digitale e dunque di quella civile.
Naturalmente, non voglio dire che sia tutto da buttare. La digitalizzazione però deve poter entrare nelle nostre vite con moderazione e con dei limiti precisi, affinché non sia possibile che, tramite essa, Essi possano controllare le nostre vite e le nostre sostanze economiche, fino ad avere la capacità di creare un modello sociale distopico oppressivo, e informato a valori e principi contrari al buon senso, alla vita, al benessere e all’umanità. Dunque nessun obbligo di creare ID digitali (che dovrebbero anzi essere scoraggiati), nessun obbligo di moneta elettronica, divieto di voto elettronico, politiche economiche che privilegino la produttività interna e il consumo di prossimità, un forte ridimensionamento dello strapotere delle big tech, un controllo democratico e sociale della tecnologia, tutela piena e incondizionata della libertà di opinione sulle piattaforme digitali, divieto assoluto di utilizzo di sistemi di didattica a distanza e l’utilizzo preferenziale di software open source.
Ma perché ciò accada – come sempre – è necessario che esista uno Stato che sia in grado di perseguire questi obiettivi sul solco di una carta costituzionale che garantisca e tuteli gli interessi nazionali, oggi più che mai opposti agli interessi delle grandi big tech e del sistema globalista che mira invece a neutralizzare i processi democratici, anche e soprattutto attraverso un processo di digitalizzazione invasivo e poco incline alla pluralità.