Il processo di denazionalizzazione degli Stati

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Il processo di denazionalizzazione degli Stati-nazione è un processo neoliberista inteso come mezzo e obiettivo del processo di globalizzazione. Consiste in altre parole in uno svuotamento dell’entità storica-culturale dello Stato, sicché tale rimane solo l’apparato burocratico che norma i rapporti giuridici dei cittadini a esso sottoposti.

E’ un processo che assume caratteristiche marcate e spinte formidabili, che si realizzano attraverso l’incoraggiamento esasperante alla costruzione di società multietniche e massificate, non più identificabili con la precisa connotazione culturale e storica dello Stato-nazione originario.

I vantaggi del processo di denazionalizzazione sono essenzialmente tre: in primo luogo, si scardina la coesione sociale del popolo identificato in quello Stato-nazione. In secondo luogo – una volta affermatesi le società ghetizzate per connotazione etnica (i cui gruppi sono in perenne conflitto economico e sociale tra di loro) – si rafforzano politicamente ed economicamente le classi dominanti, espressione del potere e del capitale finanziario. Infine, si neutralizza l’effettività dei processi democratici. Un popolo frammentato etnicamente esprime, infatti, una variazione cromatica di interessi contrastanti, che difficilmente riuscirà mai a trovare un comune denominatore politico e una composizione soddisfacente, favorendo inevitabilmente la frammentazione del consenso e, conseguentemente, le aggregazioni di potere autoreferenziali e tecnocratiche.

In ambito europeo il processo di denazionalizzazione ha anche un altro scopo: favorire l’unificazione politica europea e il processo di desovranizzazione nazionale, attraverso una sostanziale sterilizzazione degli ordinamenti costituzionali degli Stati-nazione, il cui retroterra culturale e politico affonda le proprie radici nella memoria storica del popolo al quale il processo costituzionalizzante è riferito. La conseguenza è una tabula rasa dei diritti sociali e politici cristallizzati nelle carte fondamentali e dunque una loro rielaborazione a livello europeo in chiave neoliberista.

La domanda tuttavia è: come si sposa questo processo con il fenomeno del neonazionalismo tedesco, espresso in ultimo nell’accordo franco-tedesco di Aquisgrana? In realtà, potrebbe ben sposarsi, poiché il processo di “europeizzazione” (e dunque di desovranizzazione) trova la propria ratio politica nelle mire egemoniche tedesche sull’Europa, che richiedono inevitabilmente un indebolimento profondo delle istituzioni democratiche dei paesi europei. E questo seppure – ed è bene rammentarlo – non si possa a priori negare che il processo denazionalizzante potrebbe comunque arrestarsi e invertirsi proprio per le medesime ragioni. E ciò poiché i processi storico-politici non sempre si delineano razionalmente e non sempre è facile prevedere le conseguenze delle azioni intraprese.

Attualmente, il processo di denazionalizzazione sembra ancora in atto e viene portato avanti sia a livello globale e sia a livello europeo. Tuttavia, esistono chiari sintomi di contrasto e arresto. Il rafforzarsi delle istanze sovraniste ed euroscettiche, l’ondata dei populismi in USA ed Europa e la forte critica al globalismo economico e al neonazionalismo tedesco, rappresentano il campanello d’allarme (in senso buono e positivo) che tradisce la volontà degli Stati-nazione di resistere al loro smantellamento “controllato”. Speriamo che nel breve e nel lungo periodo questa volontà prevalga.

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