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Molti si chiedono se esista un rilievo #penale degli atti di cessione di sovranità in violazione della Costituzione, dell’unità e dell’indipendenza della Repubblica Italiana. La risposta non è agevole, poiché, in realtà, l’integrazione degli elementi delittuosi è di difficile configurazione quando gli atti “incriminati” sono il frutto di processi politici istituzionali, e cioè sono atti politici che per la loro intrinseca discrezionalità non possono essere fatti oggetto di indagine penale, a patto però che vengano formati in un contesto e attraverso i processi formalmente rispettosi della legge e della Costituzione.
Dunque si può preliminarlmente dire che il rilievo penale degli #atti politici se non è impossibile è alquanto complicato, tanto che spesso in questi anni, pur essendo stati fatti diversi esposti alle Procure italiane che hanno avuto a oggetto la cessione di sovranità nei confronti della sovrastruttura europea, nessuno di essi – per quanto mi risulti – è sfociato in un processo penale con condanne e/o assoluzioni. Questo perché, al di là dei facili complottismi che ognuno è libero di scorgere nella sostanziale “sterilità” giuridica di questi esposti, la valutazione dei profili penali degli atti denunciati richiede oggettivamente che l’investigatore prima e il giudice poi vaglino e contestino le decisioni politiche dalla cui fonte sono scaturiti gli atti poi trasformati, attraverso i processi democratici costituzionali, in norme di legge.
Ma, attenzione! Questo non significa che questi atti, trasformati in legge dello Stato, siano considerati o debbano essere considerati atti definitivamente legittimi. Non lo sono. Ogni atto normativo nazionale o internazionale (recepito nel nostro ordinamento), che comporti cessione di sovranità, è un atto costituzionalmente illegale, e come tale censurabile in ogni tempo davanti all’unico giudice deputato a vagliare la costituzionalità delle leggi: la Corte Costituzionale.
E qui però troviamo un limite ordinamentale importante. Il giudice costituzionale non è un giudice che può essere direttamente adito da qualsiasi privato cittadino; infatti, le questioni di costituzionalità possono essere sollevate solo dal giudice ordinario o amministrativo: o su richiesta delle parti o di sua iniziativa quando è necessario risolvere la pregiudiziale di costituzionalità sulle norme che devono essere applicate al caso concreto. Sicché, prima di arrivare a un giudizio di costituzionalità sulle leggi, è necessario passare per un giudizio civile, amministrativo o penale. Ed è in questi termini che potrebbe effettivamente avere senso un esposto penale per contestare la violazione delle norme che tutelano l’integrità e l’indipendenza della Repubblica Italiana. Ma è chiaro che ciò è possibile solo e se venisse effettivamente aperto un procedimento penale, si identificassero i fatti di reato e i presunti responsabili, e il pubblico ministero, dopo le dovute indagini, esercitasse l’azione penale e chiedesse il rinvio a giudizio degli indagati.
E’ chiaro che siamo nell’alveo delle remote possibilità, perché è evidente che, davanti a un esposto che enuncia per lo più eventi politici (anche remoti), accordi internazionali, azioni di governo, pronunce del parlamento e di organi sovranazionali che agiscono in virtù di trattati sottoscritti dall’Italia, il pubblico ministero coinvolto, quasi certamente, alzerà bandiera bianca. In parte perché la complessità della questione e la difficile configurazione dei reati, nonché la identificazione dei soggetti responsabili, rendono l’indagine assai ardua e dai contorni indefiniti, e in parte perché è chiaro che qualora il nostro pubblico ministero fosse determinato e riuscisse a portare a processo i presunti responsabili, non è detto che il giudice sollevi la questione di costituzionalità eventualmente eccepita, preferendo semmai fare tutto da solo e – dopo aver vagliato gli atti e constatato che trattavasi di atti politici insindacabili in sede penale – andare direttamente a decisione, pronunciando sentenza di non doversi procedere ovvero sentenza assolutoria perché il fatto non sussiste, il fatto non costituisce reato o l’imputato non lo ha commesso.
Se così è, potrebbe apparentemente sembrare che le figure di reato previste nel titolo I del Libro II, rubricato “Dei delitti contro la personalità dello Stato” siano destinate a rimanere sostanzialmente inapplicate per le questioni di cessione di sovranità nazionale.
In realtà no, ma è necessario comprendere che queste norme, per quanto generali e astratte e dunque suscettibili di essere applicate a tutti i fatti che integrano, almeno potenzialmente, gli elementi essenziali della condotta penalmente repressa (e le cessioni di sovranità, in termini astratti, lo sono), la loro applicabilità è possibile ogni qual volta i fatti siano non solo sufficientemente circostanziati, ma siano stati commessi in violazione e in dispregio dei processi democratici, e cioè siano fatti che, per la loro natura extraordinem o extra costituzionale (attacco armato, attacchi terroristici, tentativi di sovvertimento dell’ordine democratico attraverso la sistematica lesione dei processi democratici), non possono essere ricondotti, nemmeno formalmente, ai processi di formazione della volontà statale trattata nella seconda parte della Costituzione.
Purtroppo, per quanto costa affermarlo, l’adesione dell’Italia ai Trattati europei che hanno limitato e poi eroso la sovranità nazionale sono stati supportati nel tempo dai processi parlamentari di autorizzazione alla ratifica dei Trattati medesimi e di riforma costituzionale che introduce il vincolo esterno sulle leggi interne (v. art. 117.1 Cost.); e poi, a supporto ulteriore, da una serie di sentenze della Corte Costituzionale che hanno operato un’interpretazione della Carta che, per quanto contraria allo spirito costituente e al principio di indipendenza e di sovranità della Repubblica, è il frutto dell’opera interpretativa del giudice delle leggi e dunque dell’organo costituzionale ufficialmente deputato a valutare la conformità delle leggi e dei trattati internazionali alle norme costituzionali. E se per tale giudice la cessione di sovranità è costituzionalmente legittima, è improbabile che il giudice penale possa pronunciare sentenza di condanna nei confronti di chi, rappresentando legalmente le istituzioni, abbia formato gli atti politici attraverso i quali quell’adesione è stata perfezionata.
In questo quadro, pensare di alzare la cortina di omertà giuridica sulla violazione sistematica della nostra Costituzione nei suoi principi fondamentali, utilizzando lo strumento dell’esposto penale – forse nella speranza di aprire un seppur piccolo varco nel fitta nebbia, provocando un pronunciamento incidentale della Corte Costituzionale che possa rivoluzionare la propria giurisprudenza pluridecennale – rappresenta più che altro una lotta titanica che se per un verso risulta quasi impossibile da vincere sul piano delle carte bollate, potrebbe, per l’altro verso, esprimere semmai una forma più o meno efficace di protesta politica, il cui risultato perseguito è la sensibilizzazione della collettività al problema. Ma nulla di più.