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Non ho mai parlato in questo blog della riforma costituzionale del 2001, quella – per intenderci – che ha introdotto nella Costituzione il vincolo europeo, sottoponendo definitivamente le leggi interne dello Stato ai trattati europei e alle norme comunitarie. Colgo l’occasione e ne parlerò ora, cercando però non di non addentrarmi in aspetti troppo tecnici.
La giurisprudenza sulla primazia del diritto CEE
Preliminarmente è necessario rilevare che se gli studenti di giurisprudenza e scienze politiche, così come gli operatori del diritto in generale, conoscono bene la portata di questa (insulsa) riforma, esiste un vasto segmento della popolazione italiana che la ignora, pensando che nulla sia cambiato rispetto a venticinque o trent’anni fa. Questo perché in Italia è del tutto normale (sic!) fare le modifiche costituzionali in una disarmante e completa assenza di dibattito pubblico, almeno ogni qual volta tutte o quasi le forze politiche concordino nel farle approvare saltando il referendum costituzionale. E’ capitato con la riforma del 2001, ed è capitato undici anni dopo con l’introduzione del pareggio di bilancio. Certe riforme, infatti, difficilmente sarebbero passate se gli italiani fossero stati consapevoli di quello che accadeva sotto il loro naso.
Ciò detto, ritornando alle implicazioni di quella riforma, bisogna fare una necessaria premessa storico-giuridica. Dopo la nascita della Comunità Economica Europea (Trattato di Roma – 1957), iniziò il processo di desovranizzazione giuridica attraverso l’intensa opera giurisprudenziale della neonata Corte di Giustizia che cercava di imporre il principio della primazia delle norme comunitarie sulle leggi e le Costituzioni degli Stati membri. Per un po’ di tempo, la nostra Corte Costituzionale tentò di respingere “l’attacco”, ma alla fine, mutando la propria giurisprudenza, cedette, riconoscendo la primazia del diritto europeo su quello interno, sicché quest’ultimo avrebbe dovuto essere disapplicato se in contrasto con il diritto comunitario (v. sent. 183/1973). Ciò valeva per le leggi emanate dal Parlamento e in parte – ed è qui la novità – persino per le norme della Costituzione, quanto meno in riferimento alle norme dei Trattati, salvi i noti controlimiti.
Un cenno sui controlimiti
Non sto qui ad approfondire la storia dei controlimiti. Posso solo dire che i controlimiti dovrebbero rappresentare i principi fondamentali costituzionali che caratterizzano la nostra Carta e, di conseguenza, la Repubblica Italiana in quanto tale. Venendo meno uno solo di essi, verrebbe meno la Repubblica democratica. Ma è chiaramente un’ipocrisia dottrinale, poiché fra i controlimiti non può non esserci la sovranità, che invece – sappiamo – ci è stata sottratta proprio in virtù dei trattati comunitari e dell’accennata supremazia del diritto europeo su quello interno.
Detto questo, il mutamento giurisprudenziale della Corte Costituzionale ha portato il nostro paese a subire le norme europee, sacrificando quelle interne, e cioè quelle prodotte nel gioco democratico parlamentare. Sicché, per farla breve, grazie alla giurisprudenza coordinata della Corte di Giustizia CE/UE e della Corte Costituzionale, è finita che la legge italiana prodotta dal Parlamento doveva necessariamente soccombere davanti alla legge comunitaria prodotta dall’euroburocrazia delegittimata democraticamente. E per quanto riguarda le norme dei trattati, queste addirittura potevano prevaricare le norme costituzionali che non fossero espressione dei controlimiti. In particolare mi riferisco al modello economico costituzionale, che cedeva in favore di quello europeo ordoliberale.
La modifica costituzionale del 2001
Con l’ingresso nell’euro, i nostri politici non si sono accontentati di vedersi scavalcare dall’euroburocrazia grazie alle sentenze. No. Pensarono bene di costituzionalizzare il vincolo comunitario, introducendolo nella nostra Carta, esattamente all’art. 117, comma 1. Infatti tale articolo recita:
La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Dunque, ancora oggi e più di ieri, le leggi dello Stato, e cioè le leggi prodotte dal Parlamento eletto dal popolo italiano, devono essere disapplicate qualora contrastanti con le norme dell’Unione Europea. Ma v’è di peggio. La riforma introduce il vincolo di conformità della legge italiana all’ordinamento europeo. Tradotto, le leggi italiane non solo possono essere disapplicate se contrastanti con le norme comunitarie, ma addirittura quelle future dovranno essere sempre conformi alle norme e ai principi comunitari.
Voi potete capire la grave implicazione di questo vincolo. Lo Stato italiano non è più libero (rectius: sovrano) di emanare leggi che contrastino con il diritto dell’Unione Europea, quand’anche quelle leggi siano espressione della volontà popolare espressa nel Parlamento e siano conformi alla Costituzione. Tutto perché nel 2001, con legge costituzionale n. 3/2001, si decise – nel silenzio assoluto dei media – di “sottomettere” la nostra Repubblica all’euroburocrazia dominata dai tedeschi, annichilendo la sovranità del popolo italiano, che invero non può essere in alcun modo ceduta a entità sovranazionali!
La tesi del pacta sunt servanda
Non in ultimo, è anche utile segnalare la tesi qui evidenziata, secondo la quale la modifica costituzionale del 2001 in realtà non innovi affatto ciò che è già insito nella nostra Costituzione all’art. 10. In altre parole, già la norma ivi richiamata, affermando che «l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute», sostanzialmente si vincola a ciò che viene stipulato nei trattati internazionali, e ciò per mezzo del pacta sunt servanda, inserito all’art. 26 della Convenzione di Vienna, alla quale l’Italia ha aderito. Sicché, il vincolo comunitario, essendo un vincolo di carattere internazionale, comunque opererebbe attraverso esso con o senza l’art. 117. Chiaramente non tutti condividono questa tesi (v. Conforti), ma è un argomento che non intendo approfondire, poiché ci porterebbe in un ambito tecnico-giuridico che esula dagli scopi di questo post.
Nota finale. In qualunque modo la si voglia vedere, la costituzionalizzazione del vincolo comunitario è solo un aspetto del complesso processo di desovranizzazione, che è molto più esteso e riguarda i diversi ambiti del potere, ivi compresi quelli che fanno riferimento agli aspetti economici e finanziari, tanto che si può affermare che il processo desovranizzante fa parte del più ampio processo di rafforzamento del vincolo esterno, e cioè della dipendenza dell’economia e della società italiana da regole e poteri non controllabili democraticamente e spesso nemmeno residenti nel territorio nazionale.