L’incostituzionalità degli Stati Uniti d’Europa

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Spesso si sente parlare di Stati Uniti d’Europa o più subdolamente di Europa unita. Soprattutto a sinistra, il mito degli USE, quale fattore positivo e addirittura auspicabile, ha assunto da anni una valenza prevalentemente dogmatica. Gli Stati Uniti d’Europa per gli euristi evocano infatti un grande progetto, ma la verità è che questo grande progetto è più che altro un brutto progetto, poiché legato a una visione che mira alla distruzione degli Stati nazione.

E’ fuor di dubbio, infatti, che gli Stati Uniti d’Europa dovrebbero basarsi su un’idea di Europa germanocentrica che non solo è da rifiutare nettamente, ma è anche da scongiurare. Soprattutto però non è possibile realisticamente creare un sistema democratico europeo, sia  perché non è mai stata questa l’intenzione (anzi!), e sia perché esistono fattori culturali e linguistici insuperabili. E sia soprattutto perché di mezzo c’è la nostra Carta Costituzionale, che molti usano sventolarla a targhe alterne, e cioè solo per gli aspetti che a loro fa più comodo, mentre si girano dall’altra per il resto, che è la parte più importante e qualificante il processo storico che l’ha generata.

La nostra Costituzione è chiara: la sovranità italiana appartiene al popolo italiano. E non ad altri. Lo Stato è solo l’apparato per mezzo del quale il popolo esercita la propria sovranità. Sicché, accettare l’idea che l’Italia aderisca pienamente a un superstato (v. Einaudi), è fuori dall’ipotesi costituzionale, che peraltro prevede limiti – limiti! – alla sovranità nazionale, e non già cessioni della sovranità nazionale, di cui i governi degli ultimi trent’anni si sono macchiati, complice pure una giurisprudenza costituzionale che ha interpretato estensivamente questa norma, fino a ricomprendervi anche le sovrastrutture europee, affatto contemplate nell’articolo 11, soprattutto perché l’ipotesi – contrariamente a quanto si pensi per ragioni temporali (il MEC arrivò anni dopo la promulgazione della nostra Carta) – venne sonoramente bocciata in sede costituente (v. emendamento Lussu).

Eppure – sappiamo – vi è stato un secondo tentativo che ha di fatto legittimato poi le cessioni di sovranità all’Unione Europea, operando una manipolazione intollerabile sulla nostra Carta Fondamentale. Tutto parte, però, da lontano, e cioè da un contrasto giurisprudenziale, che si snoda in un arco di circa trent’anni, sul rapporto gerarchico tra le fonti interne e quelle europee. Senza ripercorre l’intero processo e ribadendo che questo è solo uno degli aspetti qualificanti la cessione di sovranità nazionale in un’ottica di rafforzamento del vincolo esterno (ricordo che già a inizio degli anni settanta si parlava di unione monetaria), la giurisprudenza costituzionale giunse a conclusione che il diritto interno dovesse cedere davanti al diritto europeo. Una rivoluzione copernicana nella gerarchia delle fonti che andava a rafforzare il processo di cessione di sovranità sul piano del rapporto tra le fonti del diritto nazionale.

Eppure tutto ciò, in realtà, non può certo bastare per legittimare gli Stati Uniti d’Europa. La nostra Costituzione, seppure sfregiata dalle recenti riforme “europee” (v. artt. 117, 81 e 97) e da un’indebita quanto infondata interpretazione estensiva dell’art. 11 (che – ricordo – si riferiva solo all’Organizzazione delle Nazioni Unite, non contemplando peraltro cessioni di sovranità, ma solo limitazioni), rimane comunque un ostacolo insuperabile a una cessione parziale o totale della sovranità nazionale. Pertanto, oggi, qualsiasi atto di cessione appare del tutto fuori dalla legalità costituzionale.

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