Italexit. Lo stato dell’arte deprimente

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Il fan club ancora ci spera e confida nella “strategia”, ma onestamente solo un cieco, o chi illusoriamente rifiuta la realtà, non vede il fallimento totale del fronte politico no-euro in una prospettiva di italexit. O meglio un suo arretramento su posizioni – diciamo – “settarie”, persino all’interno delle stesse forza politiche che lo hanno lanciato.

Ormai nei partiti di Governo non si parla più da tempo di Italexit (soprattutto nella Lega). Credo nemmeno nei comizi, dove non esiste in realtà alcun vincolo sui temi da trattare. Anzi, se la convinzione fosse stata quella, i comizi sarebbero stati il posto migliore per informare gli italiani sui danni dell’euro, affinché la coscienza no-euro si rafforzasse e si radicasse bene nella consapevolezza del popolo italiano. E invece nulla. Forse qualcuno ne parlerà; evidentemente però è davvero poco quel che si dice, perché all’opinione pubblica non arriva praticamente niente (anzi!). 

Qualcuno, il tifoso, in questo silenzio ci vede ovviamente la strategia. Ma a volte la soluzione più semplice è anche quella più evidente; soprattutto in politica. Non parlarne significa semplicemente che non c’è più quella intenzione e quella volontà (o non c’è mai stata). Le ragioni possono essere varie, e io propendo per quella più ovvia: l’assenza di un vero interesse. Per la Lega, peraltro, credo che lo zoccolo duro del suo elettorato – quello che rappresenta il cuore pulsante dell’economia contoterzista del nord – non ha mai avuto intenzione di uscire dall’euro. Non ci ha mai tenuto, puntando semmai sull’autonomismo regionale. E non è un caso che da tempo l’attenzione della maggioranza si sia spostata su altri temi di secondo piano e persino in linea con la narrazione eurista: spazzacorrotti, taglio dei parlamentari, autonomismo e politiche economiche basate sulla legge di Say. Aggiungiamoci lo slogan che l’Europa si cambia da dentro e il quadro è quasi completo.

Quasi, perché Tria è sempre lì, nel Governo, a rivestire il ruolo chiave nei rapporti con la UE (il MEF). E questo è l’indizio meglio qualificante, almeno all’interno del Governo, della scarsa volontà di dare una energica sterzata ai rapporti con l’Unione Europea in chiave euroscettica. Del resto, le forze politiche che credono nel proprio programma anti-euro (non necessariamente fino all’italexit immediata), farebbero di tutto per perseguirlo, compreso occupare le caselle qualificanti con profili politici (Tria è un tecnico), per ridefinire le relazioni nella zona euro. Se quelle forze politiche non lo fanno, evidentemente vien loro comodo che sia così, nonostante la Costituzione offra gli strumenti per cambiarlo (o quanto meno per tentare).

Ma il paradigma si cambia anche con le proposte di legge di iniziativa parlamentare. Finora non vi è traccia di proposte di legge anti-euro che stiano marciando spedite verso la loro felice conclusione. Niente riforma del pareggio di bilancio, niente DL sui minibot (solo una mozione che ha scatenato un’inutile polemica, contribuendo peraltro a gettare confusione sull’argomento); sì un DL sulla proprietà dell’oro di Bankitalia e un DL sulla riforma della Banca centrale che però sembrano sostanzialmente fermi in Parlamento (della riforma di Bankitalia, ne dà info il senatore Bagnai in un’intervista al Corriere, interessante anche sotto altri profili). Delle leggi antispread, poi, nemmeno l’ombra. Il vuoto cosmico.

Intanto però, al netto dei sì a UBE, la procedura di infrazione per debito eccessivo contro il paese va avanti. Ormai da Bruxelles hanno scoperto il bluff “populista” e infieriscono. L’Ecofin di luglio deciderà sulla procedura e il monito è chiaro: o ci portate una manovra correttiva o numeri diversi, oppure noi apriamo la procedura. E questa rischia di essere l’occasione buona – peraltro sotto la pressione dei mercati – per favorire quelle manovre liberiste che ci chiedono da anni, miranti a demolire ulteriormente il welfare per ampliare l’orizzonte delle privatizzazioni della sanità e dell’istruzione.

Uno spettacolo deprimente, che solo il tifoso non vede o non vuole semplicemente vedere, affidandosi irrazionalmente a una strategia che non esiste. Non ci resta, perciò, che confidare in Weidmann e nella sua ortodossia ordoliberista (il che è un paradosso) e, magari, in una grande crisi USA che allo stato non pare però essere alle porte: entrambi possono scassare il giocattolo eurista rimettendo in gioco le sovranità nazionali. Aspettare che ci si riprenda la sovranità con azioni politiche endogene, è francamente illusorio. Sarebbe necessario che si affermasse definitivamente e massivamente un partito patriottico, senza alcuna ambiguità ideologica e con un solido programma improntato al ripristino della legalità costituzionale. Ma perché ciò avvenga è altresì necessario che non ci siano asimmetrie informative, e il popolo, o almeno la sua maggioranza, prenda piena coscienza che le spine nel fianco di questo paese non sono il debito pubblico troppo alto o il welfare, o la Costituzione “troppo socialista”, ma l’euro, l’Unione Europea e l’ideologia neoliberista hayekiana sulla base della quale le prime due sono state plasmate.

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