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Una cosa è certa: i tedeschi la sovranità non l’hanno ceduta all’Unione Europea. Neanche di striscio. Diciamo che hanno fatto finta. Per trent’anni ce l’hanno menata con la storia dell’Unione Europea, ma solo perché l’obiettivo era uno: soggiogare il nostro paese economicamente. Questi venti anni di euro dicono più di quanto possano dire le parole: incremento del debito pubblico, avanzi primari, tagli e privatizzazioni, con un crollo verticale della capacità occupazionale, produttiva e industriale del nostro paese.
Insomma, detto francamente, non mi meraviglio affatto della sentenza dei giudici tedeschi, e rido – rido sguaiatamente – davanti ai tentativi goffi della Commissione Europea di affermare la primazia del diritto dell’unione e l’indipendenza della BCE davanti alla sentenza distruttiva della Corte Costituzionale tedesca. Rido, perché è acclarato che il diritto tedesco è superiore al diritto europeo, e rido (per non piangere) perché solo nel nostro paese avviene l’esatto contrario.
Ma andiamo con ordine. I giudici tedeschi hanno detto chiaro e tondo che no, il QE (l’allentamento quantitativo) e qualsiasi altro acquisto illimitato di titoli pubblici da parte della Banca Centrale Europea è ultra vires rispetto al mandato cristallizzato nei trattati europei, ergo, per tale ragione, l’azione della BCE viola quei trattati e dunque, in ultimo, la costituzione tedesca, che vieta alla Germania di monetizzare il debito pubblico.
Ancora meglio, in sintesi:
1) I giudici tedeschi contestano come non sufficientemente motivata la deviazione della BCE dal principio di proporzionalità, richiesta nell’attività di acquisto dei titoli del debito pubblico dei paesi UEM. Di conseguenza, sconfessano la precedente sentenza della CGUE (Corte di Giustizia Europea), affermando che la BCE non può detenere più del 33% del debito di ciascuno Stato.
2) In ragione della violazione del principio di proporzionalità, i giudici tedeschi contestano altresì che la BCE abbia privilegiato l’acquisto di titoli del debito pubblico dei paesi maggiormente indebitati (uno a caso: l’Italia), con l’obiettivo di calmierarne gli interessi, divenendo questa attività come una forma di monetizzazione del debito, non consentito dal diritto dell’unione e meno ancora dal diritto tedesco.
3) Per i giudici tedeschi, infine, sia la deviazione dal principio di proporzionalità e sia la monetizzazione del debito rappresentano scelte di politica economica che non sono di competenza della BCE, la quale ha un preciso mandato di sorveglianza e politica monetaria volta al controllo dell’inflazione e alla stabilità dei prezzi.
Questi sono passaggi cruciali, perché i giudici tedeschi connettono la violazione dei trattati da parte della BCE alla violazione della loro costituzione. Per i giudici tedeschi violare i trattati che la Germania ha sottoscritto, implica che la Germania non può partecipare a quegli atti attuati contro i trattati. Ergo, la Bundesbank dovrà tirarsi fuori da PEPP e QE, e in generale da qualsiasi altra attività di acquisto oltre il cosiddetto capital key.
Le conseguenze di queste conclusioni sono devastanti per l’UEM, e lo sarebbero state ancora di più se la sentenza dei giudici tedeschi non avesse dato alla BCE tre mesi di tempo per giustificare le proprie scelte e dimostrare che sono state fatte nel perimetro dei trattati europei. Ma è un prendere tempo che lascia… il tempo che trova, perché è assai difficile che la BCE riuscirà a giustificare il proprio agire oltre i limiti del mandato sancito nei trattati e nell’atto istitutivo. E se anche vi riuscisse, il suo agire sarebbe comunque – per i tedeschi – contrario alla Costituzione federale, dunque illegale.
E’ lampante che l’Unione Europea e la BCE si trovino ora all’angolo. I tedeschi non sembrano essere disposti a compromettere la loro sovranità e la supremazia del loro diritto rispetto a quello dell’Unione. E in ogni caso, a differenza di altri paesi, non sono disposti a chiudere un occhio e girarsi dall’altra parte, mentre in Europa della loro Costituzione ne fanno carta straccia (almeno dal loro punto di vista).
Gli scenari conseguenti a questa sentenza sono diversi e per certi versi non tutti rassicuranti. Infatti, bisogna tener presente che un’interruzione di QE e PEPP in un momento come quello attuale potrebbe creare notevoli problemi a molti paesi europei, e in particolar modo a Francia e Italia, che hanno una forte necessità di liquidità. Però, se è fuori discussione che la Francia richieda il MES, inteso questo come viatico a OMT (e del resto, l’antifona dei giudici tedeschi è chiara: i soldi della BCE non sono gratis, ma vanno chiesti in prestito e poi restituiti), l’Italia sembra non avere scelta, fosse solo perché non esiste una volontà di uscita dall’euro (italexit) e perché – al contrario – esiste una chiara volontà di sottoporre il paese alla troika, con l’unica conseguenza che una tale eventualità limiterebbe fortemente la nostra già compromessa sovranità e neutralizzerebbe definitivamente la Costituzione lavoristica.
In termini pratici, la richiesta del MES – come più volte evidenziato – avrebbe diverse conseguenze sociali ed economiche rilevanti, come il trasferimento dell’ingente ricchezza privata diffusa (il risparmio) nelle mani dei pochi detentori dei capitali investiti in titoli pubblici (da qui il mantra sul debito pubblico brutto da ridurre), l’introduzione di una patrimoniale che eroderebbe il patrimonio immobiliare diffuso e, infine, l’avvio di una nuova stagione di tagli e privatizzazioni.
Paradossalmente, dobbiamo sperare nella “rivoluzione francese” alla tirannia tedesca, come sostengono alcuni, affinché la BCE prosegua nel proprio allentamento quantitativo e anzi lo incrementi, innescando la cosiddetta Germanexit. Ma non è proprio un bel sperare. Perché l’esito, per quanto auspicato, aprirebbe scenari inediti e di difficile strutturazione. Vero è che Karlsruhe ha dimostrato in modo pressoché definitivo che l’Italia non ha né la forza politica né la volontà per smarcarsi dalla Germania e dalla Francia. Diversamente, avremmo avuto una linea politica europea decisamente opposta rispetto a quella seguita negli ultimi trent’anni; soprattutto, avremmo avuto un bel po’ di sentenze costituzionali di chiara censura delle norme europee che ledono tutt’oggi i principi costituzionali fondamentali e inderogabili. Cosa che ha ben fatto la Germania. E questo è o sarebbe l’unico aspetto sul quale dovremmo prendere esempio, lasciando perdere tutto il resto.