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Il 5 agosto scadeva il termine imposto dai giudici tedeschi alla BCE, affinché questa giustificasse le politiche di allentamento quantitativo attuate – secondo i giudici tedeschi – in violazione dei trattati UE; violazione che – almeno sulla carta – impedirebbe alla Bundesbank di parteciparvi, con la sua quota di acquisti di bond.
Alcuni commentatori hanno letto in questo ultimatum un tentativo – nemmeno malcelato – della Germania di affossare l’euro e tenersi il mercato comune. Dunque una dexit in piena regola, complice il crollo dell’economia causa Covid e le proposte, sempre più insistenti a livello europeo, di condivisione del debito per finanziare la ripresa. Ipotesi respinta dalla Germania e dai cosiddetti “paesi frugali”.
Non sto lì a farla troppo lunga. Il 5 agosto è passato e l’ultimatum è scaduto, ma di dexit non se n’è vista l’ombra. E v’è di più: difficilmente la vedremo, perché per quanto i giudici tedeschi siano stati abbastanza chiari, chi doveva decidere in ottemperanza alla sentenza di Karlsruhe, e cioè la Bundesbank, si è invece dichiarata soddisfatta della documentazione comunicata dalla BCE, come peraltro riporta FAZ, di cui riporto il passaggio cruciale:
Proprio come il Bundestag tedesco e il governo federale, il consiglio di amministrazione della Deutsche Bundesbank è del parere che i requisiti della Corte costituzionale federale dalla sentenza del 5 maggio 2020 siano soddisfatti…
Insomma, il classico “tanto rumore per nulla”, se pensiamo che siamo passati dall’ipotesi di dexit a “va tutto bene, continuiamo a partecipare a PSPP”. Cioè, praticamente, l’esatto opposto.
Ma perché questo? Perché Bundesbank, governata da un falco come Hans Weidmann, che fino a qualche settimana prima tuonava che BuBa rispondeva solo al diritto tedesco e non era una succursale della BCE, alla fine ha cambiato idea e, con il consiglio di amministrazione di Bundesbank, ha concordato che la banca centrale europea agisce secondo le regole?
Due sono le considerazioni da fare in proposito. La prima è che una decisione che apparentemente sembrava essere solo tecnico-giuridica, in realtà nascondeva un grosso, anzi grossissimo nodo politico: la convinta adesione della Germania alla moneta unica. Perché è chiaro che una eventuale cessazione della partecipazione di BuBa alle politiche monetarie di allentamento quantitativo della BCE avrebbe significato l’inevitabile fine della moneta unica. Sicché non poteva essere una decisione che poteva essere presa da Weidmann in autonomia, pure sulla scorta della sentenza della Corte Costituzionale tedesca. Era una decisione politica che solo il Governo federale e il Bundestag potevano prendere. Ed entrambi – come riporta lo stesso comunicato di BuBa – si sono dichiarati soddisfatti delle “giustificazioni” BCE. Bundesbank, a quel punto, non poteva che “allinearsi”.
Dunque, nessuna meraviglia se, all’improvviso, Weidmann e BuBa hanno cambiato idea. E’ nell’ordine delle cose in un paese dove la politica comanda ancora e non esiste il vincolo esterno, visto che quel vincolo, che si riverbera sugli altri paesi europei (tra cui l’Italia), ha origine proprio in quel paese, portatore sano dell’economia globalista.
La verità è che alla Germania ancora non conviene mollare la moneta unica. Non prima che i paesi del sud Europa, e in particolare l’Italia, siano stati “economicamente” e “industrialmente” neutralizzati. Sicché, val la pena “resistere” dentro la UEM ancora per un po’, almeno finché l’egemonia tedesca sul continente non si compia del tutto.
E in effetti – e qui siamo alla seconda considerazione – poco prima che scadesse l’ultimatum di Karlsruhe, si è tenuto a Bruxelles il rush finale per approvare il Recovery Fund, ironicamente ribattezzato Recovery MES, visto che l’utilizzo dei fondi in “prestito” messi a disposizione tramite questo strumento, prevede una serie di condizionalità che si avvicinano non poco a quelle previste per richiedere un prestito MES. Sicché i paesi che intenderanno utilizzare tali fondi dovranno sottoporsi a un controllo stringente sia sull’utilizzo dei fondi e sia sui piani di rientro dei prestiti concessi (ma ne parlo meglio qui).
Ecco. La verità è che Karlsruhe sembra essere stata disinnescata proprio dall’accordo sul Recovery Fund, che peraltro vede da una parte i tedeschi (e i frugali) alleggeriti nella partecipazione al MMF (Bilancio UE) e dall’altra la concreta possibilità che l’Italia richieda anche un prestito MES, visto che i fondi del Recovery Fund non saranno disponibili prima del 2021.
Insomma, l’impressione è che la sentenza dei giudici tedeschi sembra essere stata neutralizzata proprio dall’ennesimo cedimento del nostro paese.
E i possibili giudizi di ottemperanza, già minacciati in forma di ricorso, per costringere Bundesbank a rispettare la sentenza di Karlsruhe, sul presupposto che BuBa non possa partecipare a una politica di monetizzazione del debito, quand’anche variamente giustificata, poiché contraria ai trattati, e dunque alle leggi tedesche?
Tecnicismi, tatticismi, cavillismi che, quasi certamente, finiranno in una bolla di sapone. Perché, finché alla Germania converrà tenersi l’euro, anche se apparentemente “dannoso” per il suo sistema finanziario (meno per la sua produzione industriale), l’euro sopravviverà, Bundesbank parteciperà agli allentamenti quantitativi della BCE e non vi sarà sentenza costituzionale che potrà incidere concretamente su questa volontà. Weidmann o non Weidmann.