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Notre Dame brucia. Sembra l’inizio di un romanzo distopico, ma non lo è. E’ un fatto di cronaca, che però assume un significato profondamente simbolico per la società occidentale, votata all’ideologia neoliberista, e cioè a quella ideologia che predica la declinazione dell’uomo a schiavo del mercato; un mondo, questo, dove non c’è spazio per lo Stato democratico, la tutela delle classi più deboli, la tutela dell’identità nazionale e della cultura della nazione. Tutto si riduce a una questione di partita doppia, di bilanci aziendali, di profitti e perdite, e dunque di rendite finanziarie del grande capitale.
Il denaro che veicola il potere, e il potere che controlla il denaro, in un circolo vizioso che si autoalimenta e tiene fuori chi non fa parte delle classi elevate, considerate altresì elette nel capitale e per il capitale.
Questo mondo disprezza profondamente il passato, la memoria storica, i simboli come Notre Dame che, in un modo o nell’altro, ricordano un mondo culturalmente omogeneo, delimitato in una dimensione nazionale-statale, che si contrappone idealmente al loro. Il neoliberismo ha una dimensione globale, sovranazionale, apolide, oscura; una dimensione che vuole con tutte le sue forze distruggere le barriere nazionali, i confini degli Stati, perché lo Stato-Nazione – soprattutto nella sua declinazione democratica – è nemico del neoliberismo e dell’egemonia delle élite, in quanto esso Stato rappresenta l’essenza stessa dei processi dove il potere è o dovrebbe originarsi dal basso, dal popolo.
Agli occhi dei neoliberisti, lo Stato, in quanto democratico e in quanto dotato di confini nazionali, è una bestemmia, poiché rappresenta l’essenza stessa dell’identità politica di un popolo; lo Stato con i suoi principi costituzionali, con la sua moneta e con l’idea di nazione omogenea, è un vulnus per il mercato globale che si regge su contrapposizioni di potere, invero ostacolate dalla dimensione nazionale-costituzionale, e dunque dallo Stato-nazione. Pertanto quest’ultimo deve essere sistematicamente denigrato e condannato agli occhi dell’opinione pubblica, appositamente educata a considerarlo il nemico, e cioè come l’origine del proprio malessere, in quanto avido divoratore di risorse economiche e in quanto portatore di una memoria storica e culturale che mette in discussione l’essenza stessa della teologia neoliberista.
Gli incendi nelle chiese, i ponti che crollano, le strade dissestate e i monumenti abbandonati – contestualizzati in una cornice significativa in cui lo Stato deve spendere il minimo necessario, vuoi per non danneggiare i suoi investitori, vuoi perché ciò che è passato deve essere dimenticato o ciò che è presente deve essere (lautamente) pagato – sono il chiaro sintomo di una decadenza e di un degrado che coinvolge la nostra civiltà a un livello talmente profondo, che difficilmente il declino potrà essere arrestato senza una sterzata decisa verso il recupero di una dimensione umana dell’economia, e verso una rivalutazione profonda della nostra memoria storica che coinvolga il ripristino della nostra identità culturale millenaria, anche attraverso un sostegno deciso alla conservazione del patrimonio culturale della nazione. Perché ciò accada, però, è necessario che il neoliberismo venga sconfitto definitivamente, e venga sconfitta l’idea venefica che il nostro passato non è solo ciò che noi siamo stati, ma anche ciò che noi siamo e saremo.