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Per ragioni di lavoro mi sono occupato recentemente di legislazione scolastica. Quello che ho appreso è particolarmente disarmante: l’istruzione in Italia è stata di fatto “aziendalizzata”, e cioè resa un sistema dove l’apprendimento del discente è messo (di fatto) in secondo piano rispetto all’obiettivo dell’efficienza amministrativo/contabile, che – nella logica legislativa – si risolve essenzialmente nel principio di autonomia scolastica e nel principio (europeo) di sussidiarietà.
Ma non intendo parlare della scuola in particolare. Sul punto posso solo dire che appare ormai improrogabile una vera e propria controriforma che rimetta al centro dell’azione scolastica, lo studente e l’insegnante; il discente e il docente. E’ chiaro però che per fare questo, e cioè per invertire la rotta, è necessario acquisire piena consapevolezza del fatto che la nostra democrazia oggi è stata di fatto parcellizzata.
Domanda: cosa è la parcellizzazione della democrazia? Per capirlo, è necessario affermare che un sistema complesso non è mai riducibile alla somma delle sue parti. La democrazia è indubbiamente un sistema complesso, e dunque il suo insieme non può essere ridotto alla mera somma delle sue parti. E’ però chiaro che questa visione olistica della democrazia – assolutamente condivisibile – dimostra che la stessa possa essere indebolita e dunque vanificata, là dove, artatamente, si consolidi un meccanismo burocratico e istituzionale il cui scopo ultimo a creare isole di autonomia dal processo democratico nazionale che rafforzino le parti del sistema complesso per indebolire il tutto. La somma che diventa più forte del suo insieme.
Ecco, la particolarizzazione della democrazia è la negazione della visione olistica della democrazia. E’ un modo per indebolire la democrazia popolare come sistema complesso e fare in modo che i processi che determinano la volontà democratica siano continuamente vanificati e bloccati dalla somma delle sue parti autonome.
Una democrazia, in questo modo sterilizzata, è come il guscio di una tartaruga, ma senza la tartaruga dentro. E’ una democrazia-zombie, o se vogliamo usare una locuzione differente, è una democrazia diafana, inconsistente, che mantiene solo la struttura apparente della democrazia, ove però le decisioni cruciali per il popolo sono assunte altrove, e non sempre utilizzando principi e meccanismi democratici.
Inquadrando storicamente la parcellizzazione della democrazia, è indubbio che il fenomeno degenerante oggi è ampiamente diffuso, avvelenando il nostro sistema democratico, nato dalla Costituzione del 1948. Le tappe storiche che lo dimostrano sono numerose, a partire dal processo di integrazione europea che ha di fatto neutralizzato la preminenza dell’organo sovrano per eccellenza (il Parlamento) sui rapporti socio-economici nazionali. Ma non solo. Pensiamo, sempre nel medesimo contesto (la devoluzione di sovranità all’Unione Europea) all’affermazione delle autorità indipendenti e alla Banca Centrale indipendente. E non meno importanti, i processi autonomistici territoriali e la devoluzione delle competenze statali alle regioni, sia in concorrenza (tra queste, l’istruzione) che in via esclusiva.
I processi storici sopra evidenziati, dimostrano chiaramente che la degenerazione della democrazia popolare, nella sua dimensione nazionale, passa attraverso il processo di parcellizzazione interna da una parte e di devoluzione esterna della sovranità dall’altra, sicché non solo la massima latina superiorem non recognoscens diventa un enunciato privo di qualsiasi pregio sostanziale se riferito ai rapporti internazionali, ma addirittura lo diventa anche rispetto agli ambiti interni.
Qualcuno però potrebbe obiettare che gli autonomismi territoriali e la previsione delle autorità indipendenti siano garanzia di coerenza democratica, perché creano un potere sovrano diffuso che impedisce gli abusi e le prevaricazioni dei vertici, ovvero favorisce l’efficienza amministrativa. Ebbene, questa asserzione è contestabile, perché non è detto che una maggiore diffusione del potere sovrano sia garanzia di democrazia ed efficienza, essendo semmai vero il contrario: questa diffusione crea ambiti di irresponsabilità democratica e abusi da parte dei potentati locali o legalmente indipendenti. La democrazia deve prima di tutto risolversi nella manifestazione del potere sovrano da parte dell’organo costituzionalmente adibito allo scopo, sicché qualsiasi altra attività amministrativa differente (territoriale o non territoriale) deve sempre essere condizionata dalla prima, non ammettendosi – in una vera e compiuta democrazia popolare – che esistano ambiti nei quali l’asse costituzionale parlamento-governo (espressione del popolo sovrano) non abbiano competenze o autorità di decisione ultima e inappellabile.
Se questa è la chiave di lettura, l’art. 5 Cost. non può certo essere utilizzato per sconfessarla. Il fatto stesso che la Repubblica promuova le autonomie locali e garantisca il massimo decentramento amministrativo, non implica di per sé che il costituente abbia voluto costituzionalizzare la parcellizzazione della democrazia. Tutt’altro, per il solo fatto che abbia inteso precisare che «la Repubblica è una e indivisibile», ha chiarito che qualsiasi istanza autonomista o di decentramento comunque non avrebbe potuto affrancarsi dalla sovranità popolare espressa nell’asse parlamento-governo. Ed ecco anche perché la riforma costituzionale del 2001 in realtà contrasta con l’art. 5, ciò poiché indebolisce fortemente l’indivisibilità e la sovranità della Repubblica, sia verso l’esterno (v. art. 117.1 Cost.) e sia verso l’interno (v. artt. 116 e ss.).