La questione della cessione di mare territoriale alla Francia

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accordo-di-caen-confini-francia-italiaPartiamo da lontano e cioè dal 2006, quando l’allora Governo Prodi avviò le trattative per ridefinire i confini marittimi con la Francia, e che sono sfociati nel 2015 – sotto il governo Renzi, che aveva come ministro degli esteri, Gentiloni – alla stipula del trattato di Caen, il quale, però, non è mai stato rattificato dal Parlamento Italiano.

Ebbene, in base a questo trattato, che – appunto – non è stato mai rattificato dal Parlamento del nostro paese, i francesi si apprestano a prendersi porzioni del nostro mare, qualora il governo – entro il 25 marzo p.v. – non opponga (secondo il trattato medesimo) nessuna obiezione. E tale cessione coinvolgerebbe sia i diritti di pesca, e sia i diritti sullo sfruttamento dei giacimenti di gas e petroliferi che si trovano a cavallo dei confini marittimi tra Francia e Italia. Insomma, qualora il Governo non si esprima o qualora venisse rattificato il trattato, ecco che la Francia allargherebbe i propri confini marittimi di molte miglia sia nel mar ligure, che nel Tirreno e nel mar di Sardegna, godendo dei relativi diritti di sfruttamento economico, senza che sia prevista – almeno per quanto mi è noto – una contropartita che ci ricompensi degli eventuali danni economici e ambientali subiti.

E’ perciò inspiegabile, la quasi totale assenza di dibattito politico e pubblico sulla questione (si trova poco o nulla sui media nazionali), soprattutto su quali siano i concreti interessi italiani alla stipula di questo accordo che – come si è potuto vedere – sembra essere assolutamente “svantaggioso” per il nostro paese, prevedendo infatti che i francesi si annettano porzioni di mare che risultano essere piuttosto ricche di pesca e di giacimenti energetici in cambio di zone meno ricche di pesca e senza la presenza di giacimenti di gas o petrolio.

D’altra parte, vero è che a suo tempo il Governo italiano aveva tentato di giustificare l’accordo, in quanto “necessario al fine di definire i confini marittimi alla luce delle norme della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, che supera la Convenzione per la delimitazione delle zone di pesca nella baia di Mentone del 18 giugno 1892, convenzione che ha valore consuetudinario, in quanto applicata e mai ratificata, ai fini di colmare un vuoto giuridico.” Ma è altresì vero che questa sembra una giustificazione poco convincente o comunque insufficiente per spiegare lo scarso vantaggio economico che l’Italia ne trarrebbe da questo “scambio”.

Mi auguro e ci auguriamo tutti che il prossimo Parlamento e Governo rimettano in discussione l’accordo e i suoi effetti e che, soprattutto, l’attuale Governo, benché delegittimato dal voto del 4 marzo, provveda per tempo a sollevare una serie di obiezioni con il Governo francese, affinché si dia tempo al nuovo Governo e al nuovo Parlamento di esaminare la questione con maggiore attenzione, per capire e valutare se l’accordo stesso sia altamente lesivo degli interessi italiani. E non è un caso, che Roberto Calderoli (Lega), “minacci” un eventuale esposto per danno erariale, qualora l’accordo non venga annullato.

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