L’art. 11 Cost. e la cessione di sovranità come limitazione

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Ne accennai già nel lontano 2012 sul mio vecchio blog, a margine dell’approvazione della famigerata legge costituzionale sul pareggio di bilancio (pareggio bilancio), quando ancora in pochi parlavano di #sovranità; lo feci, in realtà, in un contesto non sovranista (che all’epoca era per me un movimento del tutto sconosciuto o quasi), dopo essermi imbattuto quasi casualmente (cercavo fonti giuridiche che parlassero della modifica dell’art. 81) in alcune sentenze della Corte Costituzionale sull’efficacia delle norme europee nell’ordinamento interno. Tanto fu casuale, che non  mi occupai più della questione, anche perché quel blog poi venne chiuso e mi dedicai ad altro[1. Infatti fu uno degli ultimi articoli che scrissi per il mio vecchio blog, che chiusi ad ottobre. Intanto, la denuncia sull’uso improprio di questa norma sarebbe andata avanti, sostenuta con determinazione da altri colleghi sovranisti, oggi piuttosto noti negli ambienti del sovranismo italiano (come Giuseppe Palma e Marco Mori, e anche l’ottimo Luciano Barra Caracciolo), il cui merito è quello di aver divulgato il problema e averlo fatto conoscere alla massa. Qualche anno prima – seppure negli ambienti ristretti del mondo accademico – ne parlò Aldo Bernardini, nel suo libro La sovranità violata nei processi normativi internazionali ed europei, Editoriale Scientifica, 2001.].

Ma vediamo l’articolo:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Ho già accennato su primoarticolo.it i dubbi che sollevò in costituente l’art. 11, nella parte in cui consente limitazioni di sovranità. Per riassumere: qualcuno (l’on. Cevolotto) ritenne sarebbe stato inopportuno introdurre nella Carta Costituzionale l’impegno a consentire limitazioni di sovranità, seppure in condizioni di parità con gli altri Stati e seppure per finalità quali la costruzione di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni (approfondimento). E ne aveva ben ragione – dico io – perché questa norma è stata poi impropriamente utilizzata per legittimare (costituzionalmente) un progetto politico (l’UE, ma prima ancora la CE) che, invero, se per un verso poco o nulla aveva a che vedere con la costruzione di un ordinamento che assicurasse la pace e la giustizia fra le nazioni, per l’altro verso ha comportato, nei decenni successivi, indebite cessioni di sovranità a organismi e poteri sovranazionali, sottratta alla legittimazione democratica.

Per cui, se è pacifico il primo periodo, che asserisce che l’Italia ripudia la #guerra come strumento di offesa e per risolvere le controversie internazionali (il quale di per sé non esclude chiaramente la difesa armata, ogni qual volta questa si renda necessaria per difendere la nazione), il secondo periodo offre notevoli spunti di dibattito e ciò al di là di quello che accadde in costituente.

La domanda chiave dunque è questa: che significa «l’Italia consente limitazioni di sovranità»? E per essere precisi, che significa limitare la propria sovranità?

Per capirlo è necessario focalizzarci meglio sul concetto di sovranità. Questa attiene all’originarietà dello Stato e al fatto che esso – Stato – inteso come ente giuridico, non discenda da un altro ordinamento sovraordinato, ovvero non abbia sopra di sé un ordinamento dal quale promani il proprio potere sovrano (teoria monistica). Uno Stato, dunque, può dirsi sovrano quando superiorem non recognoscens, e cioè quando non riconosce alcun ordinamento a sé superiore o prevalente ovvero ancora legittimante, e dunque sia esso stesso supremo (supremazia dell’ordinamento statale), trovando nella propria originarietà la legittimazione del proprio potere d’imperio e della propria indipendenza esterna.

Dunque, qualsiasi limitazione alla sovranità, in un certo senso, sconfessa questo assioma, poiché ammette che lo Stato possa comunque sottostare a un ordinamento giuridico sovraordinato e da questo venga condizionato. Ma è anche vero che lo Stato è un ente giuridico che si muove all’interno di una comunità interstatale (o internazionale), e non opera in un contesto isolato, dove non ci sono altri attori. Sicché la limitazione di sovranità è accettata ed è accettabile fintanto che questa operi esternamente allo Stato, e cioè fintanto che i limiti alla sovranità non incidano sulle regole interne (i principi costituzionali, le leggi e i regolamenti), ma operino sulle regole internazionali, e dunque sul piano dei rapporti tra Stati pienamente sovrani. A titolo di esempio, può essere considerato un limite accettabile alla sovranità, la regola internazionale secondo la quale lo Stato non possa invadere od occupare arbitrariamente il territorio di un altro Stato. E in realtà, da un’attenta (e letterale) lettura dell’art. 11, quando si parla di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, si intende proprio un ordinamento che regoli i rapporti tra Stati nei termini anzidetti (nel caso concreto, l’#ONU).

Non posso chiaramente andare oltre. Vero è che se questo è il concetto di #limitazione, esso è ben differente dal concetto di #cessione. Il quale invece implica una devoluzione del potere sovrano statale a un’entità sovraordinata; e per potere sovrano statale intendo il potere di imporre regole cogenti ai consociati, e dunque alla popolazione stanziale sul territorio controllato dall’autorità statale. Non solo dunque il potere di regolamentare i rapporti tra Stati, ma anche il potere di regolamentare i rapporti tra i singoli cittadini e i cittadini e le autorità. Il tutto, magari, con la possibilità di imporre la disapplicazione o la non applicazione delle norme statali, comprese quelle costituzionali (considerate in una posizione gerarchicamente inferiore), che siano in conflitto con quelle sovranazionali (ma vediamo più giù).

Cosa è accaduto dunque con l’art. 11 e l’Unione Europea (ex #CEE e CE)? Fermo restando che ne parlerò ancora e diffusamente, qui mi limiterò a dire che la norma – che prevede appunto limitazioni di sovranità per le finalità che abbiamo potuto leggere – è stata utilizzata per dare copertura costituzionale alle cessioni di pezzi di sovranità a quella che poi sarebbe diventata l’Unione Europea. Come ciò sia potuto accadere è un mistero relativo, poiché l’opera erosiva della sovranità e il modus procedendi non sono racchiusi in documenti top secret, ma in pubbliche sentenze: quelle della Corte di Giustizia Europea da una parte, che hanno affermato più volte la primazia del diritto comunitario sul diritto interno (paradigmatica è la sentenza Enel/Costa del 1964) e quelle della Corte Costituzionale che, quasi all’unisono con le pronunce della Corte europea, hanno utilizzato proprio l’art. 11 per legittimare la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno (il riferimento storico è la sentenza n. 183/1973 – ne parlerò), ivi comprese le norme costituzionali che non rappresentino i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano e i principi di tutela delle persona umana (i cosiddetti controlimiti, di cui parlerò in altra occasione).

La domanda finale è questa: tutto ciò rispetta la sovranità statale attribuita al popolo per mezzo dei suoi rappresentanti, proprio da un principio fondamentale qual è l’art. 1? E’ accettabile che le decisioni fondamentali sui destini dei popoli europei, e per quanto qui interessa, del popolo italiano, siano assunte bypassando i meccanismi democratici disegnati nelle costituzioni nazionali, e per il nostro paese dalla Costituzione del 1948? Siamo solo all’inizio.

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