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Mi fanno tenerezza i liberisti che cercano di fare dei distinguo tra neoliberismo e liberismo, riconducendo addirittura il primo a una visione “socialista” e/o liberal della società, estranea per tal ragione, al liberismo. E nel farlo, citano la Thatcher e Reagan, esponenti “top” del liberismo anni ’80.
Ma è chiaro che non è così. Seppure sia vero che la Thatcher avesse una visione “nazionalista” del liberismo, è altrettanto vero che le politiche “thatcheriane” erano esattamente quelle che oggi vengono predicate in Italia e in Europa: meno welfare (possibilmente niente welfare), demonizzazione del debito pubblico e della spesa pubblica, più privato.
Parlare dunque di una differenza sostanziale tra il liberismo thatcheriano e il neoliberismo attuale è più che altro un divertente esercizio retorico pandettistico. La realtà è invece un’altra: è diversa la dimensione.
Se l’europeismo neoliberista è finalizzato a mantenere e rafforzare il dominio franco-tedesco (più tedesco che franco) sull’Europa, che a sua volta non è altro che il risvolto politico del dominio del grande capitale finanziario globale di matrice USA, il liberismo thatcheriano si distingue solo per le dimensioni: nazionali, appunto.
In ogni caso, abbiamo il dominio del libero mercato sulla società e sull’uomo. Nella sua declinazione ordoliberale (europeista), attraverso il controllo dell’accesso al mercato e il pareggio di bilancio che comprime la spesa pubblica e il debito; nella sua declinazione thatcheriana, attraverso l’esaltazione tout court del libero mercato. In entrambi i casi, il “sottoprodotto” (che non è un vero sottoprodotto) è la distruzione del welfare e della democrazia sociale e popolare.
Di fatto, liberismo e neoliberismo sono la stessa e identica cosa. Cambiano i nomi e le declinazioni, ovvero alcuni dettagli semantici e definitori, ma tutti convergono verso un solo obiettivo: il dominio del capitale sulle dinamiche sociali e i processi decisionali. E poco importa che poi un certo liberismo abbia una dimensione nazionale e consideri quello sovranazionale pericoloso e pernicioso, mentre l’altro, al contrario, ritenga pernicioso e pericoloso quello nazionale. In entrambi i casi, le vittime sono sempre le classi lavoratrici della popolazione.
Il patriottismo costituzionale che mira al ripristino integrale della sovranità nazionale e all’attuazione incondizionata della Costituzione economica del 1948 (quello che i neoliberisti definiscono “populismo”), è ben altra cosa. Poco o nulla ha a che vedere con il cosiddetto “nazionalismo liberista”, se non nell’obiettivo di ricondurre il gioco economico su scala nazionale, mentre grandi sono le distanze. I liberisti-nazionalisti puntano comunque a uno Stato leggero, dove tutto o quasi è privatizzato; i patrioti della Costituzione del 1948, invece, mirano al ripristino della Costituzione sociale, e dunque alla realizzazione di una visione economica di tipo misto, dove l’iniziativa economica privata è limitata dall’interesse nazionale, dall’attuazione dell’uguaglianza sostanziale e del principio lavoristico.