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L’Italia è un paese assediato. Subisce un embargo economico da almeno una ventina d’anni. E questo embargo si chiama euro. E non è una boutade, ma è una realtà incontestabile: l’euro è una moneta artificiale, creata per favorire il dominio della rendita finanziaria dei grandi capitali e a latere, quello della Germania sul mercato globale, a danno del mercato interno che si traduce in un danno alla nostra produttività, all’occupazione e all’industrializzazione del paese.
Come l’esercito nemico che assedia il forte che intende espugnare, e nel farlo, prende per fame e per sete gli occupanti, l’euro impedisce che possano essere fatte politiche di crescita; politiche che possano stimolare la domanda interna e dunque lo sviluppo industriale del paese (e con essa l’occupazione). Sicché, nel tempo, il paese degrada, si deindustrializza e può essere conquistato economicamente con pochi spiccioli (controllati da terzi), affinché diventi una provincia dell’impero, utile per manodopera a basso costo, possibilmente qualificata. E non è un caso che le nuove generazioni italiane, altamente qualificate ma prive di prospettive economiche sul suolo patrio, si orientino sul nord Europa, e in particolare la Germania, il cuore dell’impero.
La soluzione dunque è rompere l’assedio… l’embargo. E per farlo, è necessario disfarsi dell’euro e ritornare alla propria moneta nazionale. Non c’è altra soluzione. Non esiste alcuna possibilità che l’euro possa essere riformato, perché manca il substrato sociale, economico e politico fondamentale: una lingua comune, un regime fiscale comune, e valori comuni condivisi. L’Euro è basato sulla concorrenza spietata e la diffidenza fra i paesi che lo adottano, ed è retto da regole il cui scopo è tenere basso il costo del lavoro.
D’altro canto, proprio perché l’euro è stato concepito per favorire la Germania sul mercato globale, la sua adozione è export-oriented. Qualunque economista con un po’ di sale in zucca potrebbe però affermare che un paese che basi la propria economia solo sulle esportazioni, pure a costo di distruggere la domanda interna, si espone a una serie squilibri macroeconomici importanti, perché fa dipendere il proprio benessere dagli orientamenti umorali dei mercati esteri sui quali non ha nessun controllo e nessuna influenza. Peggio pure se per favorire politiche economiche export-led, si blocchino – come accade in un’unione monetaria forzata – i cambi fra i paesi membri dell’unione, creando ulteriori squilibri interni che favoriscono – su regimi fiscali differenziati – un paese membro a danno dell’altro.
L’Italia patisce tutto questo. E parlare, dunque, di embargo o assedio non è affatto peregrino e anzi rappresenta la plastica situazione in cui versiamo da venti anni. Liberiamoci prima che sia troppo tardi.