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Riassumendo, la riforma del MES, che dovrebbe diventare un vero e proprio fondo monetario europeo (v. qui e qui), è un meccanismo-organismo che dovrebbe soccorrere gli Stati membri soggetti a una grave crisi bancaria creditizia o di fiducia (dei mercati). Il paradosso del MES riformato (d’ora in avanti MES 2.0) però è che il soccorso è condizionato alla presenza dei requisiti di deficit e debito previsti dai trattati UE. Ciò significa che al MES 2.0 non potrebbero accedere quegli Stati – come l’Italia – che non rispettano i parametri suddetti.
Ma, c’è un ma. La verità è che il MES 2.0 potrebbe essere utilizzato anche da quegli Stati, a patto che sottopongano il loro debito pubblico a ristrutturazione. Ciò comporta, inevitabilmente, riforme strutturali piuttosto pesanti, privatizzazioni e dunque demolizione del welfare state. Un esempio concreto lo abbiamo avuto con la Grecia.
Dunque, uno dei quesiti ai quali è necessario rispondere riguarda le modalità di attivazione del MES 2.0, e cioè se l’organismo, davanti a una crisi, potrà agire di sua iniziativa, imponendo il prestito e poi, se del caso, la predetta ristrutturazione, oppure sia comunque necessario che lo Stato interessato faccia la propria richiesta, con il MES che giudicherà se il debito è sostenibile oppure non lo è tanto da richiederne la ristrutturazione. La questione non sembra ancora essere del tutto chiara, anche se – onestamente – la differenza tra l’una e l’altra opzione è relativa, perché le crisi possono verificarsi semplicemente con un crollo della “fiducia” dei mercati, in quanto è noto che nel recinto europeo, il mercato è il vero sovrano. Sicché, basta che lo spread aumenti certificando l’insostenibilità del debito pubblico di quello Stato, per far entrare in crisi il sistema e costringere il paese “vittima” a chiedere aiuto al MES 2.0.
Comunque sia, è certamente interessante comprendere quali potrebbero essere gli effetti di un intervento del MES 2.0. Su questo argomento, molti commentatori più esperti del sottoscritto, hanno detto la loro e le notizie non sembrano essere affatto buone. Infatti, una ristrutturazione del debito pubblico, basato sulle condizionalità dette poco più su, rischia di comportare la drastica riduzione del risparmio privato, che in Italia è soprattutto interno. In altre parole, la ristrutturazione (che non è altro che una sorta di default controllato), comporterebbe l’attivazione del bail-in; l’effetto domino sarebbe critico per la nostra economia (v. qui). Di fatto, verrebbe abrogata la Costituzione sociale.
La mia impressione, dunque, è che in realtà il MES 2.0 sia stato pensato proprio per l’Italia. Potendovi accedere solo previa ristrutturazione del proprio debito (il più alto in UE), visto lo spread ultrasensibile, potrebbe diventare la “soluzione finale” per abbatterlo (preventivamente ristrutturato). L’effetto sarebbe strutturale, poiché comporterebbe l’attuazione di quelle riforme tanto agognate dalle grandi banche d’affari e dalla finanza globalista: sostanziale privatizzazione del sistema sanitario, svendite degli assets di Stato, alienazione del sistema bancario, sostanzioso arretramento del welfare.
Una prospettiva che (per quanto ancora del tutto ipotetica) si deve e si può evitare, semplicemente non firmando l’accordo e non ratificando il trattato. Come ci hanno insegnato saggiamente le nostre nonne, prevenire è meglio che curare.