Pareggio di bilancio e Costituzione. I principi fondamentali sono derogabili dai principi contabili?

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La nostra Carta Costituzionale impone che il Governo nell’attuare il proprio programma deve comunque rispettare alcuni principi contabili, e segnatamente quelli che assicurano l’equilibrio tra le entrate e le uscite (il cosiddetto pareggio di bilancio), che nella nostra Carta, sono sanciti all’art. 97 Cost., 81 Cost. e anche 117 e 119 Cost. Questo è stato ribadito recentemente dal Capo dello Stato, in ordine all’intenzione dell’attuale Governo di programmare il deficit triennale al 2,4% sul PIL.

Preliminarmente è bene sottolineare che il #pareggio di bilancio, e dunque il principio contabile richiamato, non è originario della Carta del 1948, ma è stato introdotto recentemente e precisamente nel 2012, con la legge costituzionale n. 1/2012, durante il Governo Monti. Questo suggerisce che i costituenti del 1948, in realtà, fecero una scelta precisa quando decisero di non inserirlo: avrebbe costretto i governi futuri ad attuare politiche pro-cicliche, anche quando le politiche pro-cicliche sarebbero state un danno per l’economia. E del resto, se il pareggio di bilancio fosse stato introdotto nel 1948, probabilmente non avremmo avuto il boom economico.

Il vecchio articolo così recitava:

Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.
Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.
Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.

In realtà però esistono pure ragioni costituzionali per le quali il pareggio di bilancio in Costituzione non doveva essere introdotto, e queste ragioni sono legate alla prima parte della Costituzione: quella che puntella i principi fondamentali costituzionali, e precisamente l’art. 3, l’art. 4 e gli artt. 36 e ss. Il principio contabile neoliberista infatti avrebbe creato una rottura della Costituzione, poiché si sarebbe posto in contrasto con i principi fondamentali anzidetti. Del resto, come sarebbe stato possibile perseguire obiettivi di piena occupazione, se si fosse stati costretti a garantire il pareggio di bilancio?

I costituenti ne erano pienamente consapevoli, e sul punto i tentativi di introdurre il pareggio di bilancio vennero progressivamente neutralizzati. Il più convinto sostenitore del pareggio, non a caso fu #Einaudi, di cui riporto un brano significativo, affermato in costituente nella seduta del 24 ottobre 1946:

Soggiunge che il dubbio potrebbe nascere su un altro aspetto del problema e, cioè, sulla opportunità di limitare al Governo l’iniziativa in materia di bilancio, negandola ai membri delle due Camere. L’esperienza ha dimostrato, infatti, che è pericoloso riconoscere alle Camere tale iniziativa, perché, mentre una volta erano esse che resistevano alle proposte di spesa da parte del Governo, negli ultimi tempi spesso è avvenuto che proprio i deputati, per rendersi popolari, hanno proposto spese senza nemmeno rendersi conto dei mezzi necessari per fronteggiarle. Così stando le cose, si prospettano due soluzioni: o negare ai deputati delle due Camere il diritto di fare proposte di spesa, ovvero obbligarli ad accompagnarle con la proposta correlativa di entrata a copertura della spesa, così che la proposta abbia un’impronta di serietà.

Il costituente liberale, dunque, prospettava due soluzioni: o si negava al Parlamento la possibilità di fare proposte di spesa, oppure si introduceva l’obbligo del pareggio. 

La proposta di Enaudi e di altri che si inserivano nello stesso solco neoliberista venne respinta, con un contentino: nella formula del vecchio articolo 81 venne introdotto il generico principio secondo il quale ogni altra legge che importi nuove spese deve indicare anche i mezzi per farvi fronte. Una formulazione generica che non ha impedito ai Governi repubblicani di fare spesa in deficit e garantire così lo sviluppo industriale e sociale del paese. Formula che però nel 2012 venne spazzata via e sostituita dal rigido principio ragionieristico del pareggio di bilancio, in ossequio al Fiscal Compact:

Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico […]

In tale formula la genericità riguarda il ciclo economico favorevole o avverso. Chi stabilisce e come viene stabilito che un ciclo economico sia favorevole o avverso? Questa genericità, nel contesto dell’ordoliberismo europeista e dei suoi vincoli di bilancio, intrappola e suggella il rigido principio contabile e rafforza dunque l’impossibilità per il Governo di fare spesa in deficit, seguendo i dettami costituzionali fondamentali. E ciò seppure, al netto degli interessi sul debito, lo Stato italiano rispetti il principio del pareggio di bilancio, poiché è in #avanzo primario di cassa. Il che conferma che il pareggio di bilancio in Costituzione non aveva e non ha altro scopo che impedire che lo Stato spenda a deficit.

La domanda dunque è questa: può davvero un principio contabile, quand’anche inserito in Costituzione, contrastare i principi fondamentali costituzionali che prevedono obiettivi economici palesemente antitetici al perseguimento dell’equilibrio tra le entrate e le uscite? Per rispondere, si deve prima di tutto affermare che il principio del pareggio di bilancio è più che altro un principio ideologico e meno macroeconomico. Per quanto a molti non piace, l’idea dello Stato-famiglia, dello Stato-azienda e dello Stato-condominio non ha alcun fondamento macroeconomico. E’ un totem ideologico #neoliberale, che cerca di creare un’equivalenza tra l’agire statale e l’agire del privato, scordando che il privato persegue un interesse privato, mentre lo Stato persegue un interesse collettivo, e che l’agire dello Stato è finalizzato a creare benessere per la collettività e non per sé, mentre l’agire del privato è finalizzato a perseguire un benessere individuale e dunque egoistico.

Ciò precisato, è chiaro ed è inequivocabile che no, il principio contabile del pareggio di bilancio non può assolutamente prevalere sui principi fondamentali costituzionali. Ecco perché in realtà in pareggio di bilancio in Costituzione rappresenta oggi una vera e propria “rottura della Costituzione” (#Mortati), ciò poiché pone lo Stato davanti a una scelta alternativa: o attua e persegue i fini previsti nei principi fondamentali (piena occupazione e giustizia sociale), che richiedono necessariamente massicci investimenti in deficit, oppure rispetta il rigido criterio contabilistico del pareggio, tagliando la spesa pubblica e rinunciando a fare investimenti nell’economia reale. Tertium no datur.

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