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Da anni, decenni, sentiamo che in Italia bisogna fare la rivoluzione liberale. Che tradotto significa meno Stato e più mercato. I liberisti nostrani, naturalmente, si lagnano che la rivoluzione non è stata mai fatta nel nostro paese. Il che suggerisce che forse gli stessi dormivano mentre negli ultimi trent’anni il welfare veniva progressivamente smantellato, l’industria pubblica di Stato (v. IRI) veniva liquidata e i nostri gioielli produttivi affidati alle “amorevoli” cure del mercato. Tanto dormivano che, oggi, continuano con la favola dei comunisti dappertutto che impedirebbero – oiamamma! – la rivoluzione liberale.
La verità è però che coloro che loro chiamano “comunisti” in realtà sono (ordo)liberisti, e cioè i punti di riferimento politico e culturale del loro mondo ideale. Dunque, la verità è palese: non è che improvvisamente i liberisti, saliti al potere, siano diventati comunisti. Il problema è che il comunismo s’è mostrato per quello che veramente è: propaganda. Solo che il rifiuto psicologico dei liberisti “sognatori” di accettare la realtà sulla vera natura dell’ideologia dominante, li induce a insistere con la narrazione del pericolo comunista.
Ma il pericolo comunista in assenza di comunismo (come il pericolo fascista in assenza di fascismo) è semplicemente uno spauracchio, alimentato dal neoliberismo ideologico affinché la gente non riapra gli occhi, chiusi una trentina di anni fa, sulla mostruosa società che ci stanno ricamando attorno. Una società informata al profitto e al darwinismo sociale. Dove non esiste lo Stato o lo Stato è ridotto al minimo, e di conseguenza dove non ha più rilevanza la democrazia sostanziale. Infatti è palese che uno Stato ridotto al minimo, che non si interessa delle dinamiche socio-economiche, che non interviene per tutelare le fasce più deboli, che non fa politiche occupazionali, è uno Stato “inutile”, o meglio è utile solo per gestire il potere in nome e per conto dei potentati economici.
Questo è lo Stato liberale che piace tanto ai liberisti “sognatori”. Solo che loro insistono con il sostenere che questo sia uno Stato comunista, che comunista non è: lo Stato comunista, nel bene e nel male, è uno Stato dove tutti i mezzi di produzione sono collettivizzati, e cioè appartengono allo Stato. Logico no? Ditemi voi, attualmente nella nostra economia, i mezzi di produzione sono collettivizzati, appartengono allo Stato? La risposta chiaramente è no. Anzi, si assiste da decenni al fenomeno inverso: la privatizzazione completa dei mezzi di produzione. Oggi lo Stato non detiene più aziende e al massimo ha partecipazioni azionarie in alcune di esse che sono rigorosamente delle S.p.A.
La verità è che da trent’anni subiamo la rivoluzione liberale, e nel carnet degli obiettivi raggiunti dalla medesima manca solo il completamento della “privatizzazione” del welfare. L’ultimo capitolo della saga liberalizzante che ci separa – poveri noi! – da una società dove impera il darwinismo sociale e dove è il mercato a governare sugli uomini e non viceversa. Cioè la società perfettamente liberista.
Il bello (per modo di dire) è che manca poco purtroppo. Con l’approvazione del MES2, l’obiettivo di privatizzazione del welfare è finalmente a portata di mano. Lo strumento sovranazionale è giusto utile per ristrutturare definitivamente il debito pubblico italiano. Se è pur vero che non esiste un automatismo, è altresì vero che ancora riecheggiano le parole sinistre: “i mercati insegneranno agli italiani come si vota”. Dunque, per quanto non sia un fatto automatico, ci sono rischi concreti che possa accadere: quando si è in balia del mare, non si sa mai se sarà bonaccia o tempesta . Quel che è certo è che se accadrà (ma facciamo le corna), la ristrutturazione non potrà essere fatta senza una profonda privatizzazione della sanità e la vendita delle partecipate di Stato. Dunque, la “rivoluzione liberale” verrà definitivamente compiuta, e allora la favola del pericolo comunista si disvelerà per quello che è: una suggestione psicologica maccartista, funzionale all’obiettivo di neutralizzazione della Costituzione del 1948.