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Tutti a scrivere e dire che siamo fortunati perché l’Europa ci aiuta con i suoi fantasmagorici strumenti. L’ultimo, in ordine, il Recovery Fund, così decantato dai media mainstream e dal Governo, da dare l’impressione – per chi non è bene informato – che davvero sia una novità assoluta, se non una vera e propria rivoluzione “keynesiana” nel panorama del mercantilismo hayekiano europeo; risorse che finalmente non sono “prestate” a interesse, ma erogate sotto forma di “contributi” a fondo perduto.
Questo è il leit motiv della propaganda. L’Europa mette a disposizione 500 miliardi di euro (ma poi, non erano 1500?), tramite l’emissione di titoli trentennali con tripla A. Insomma, uno strumento degno di un’Europa “sovranista” direbbe qualcuno.
Dunque dove sta la fregatura? Perché la fregatura deve per forza esserci. Chi ha imparato a conoscere bene come funziona l’Europa, sa perfettamente che in Europa non si fa niente per niente, perché – fondamentalmente – l’Europa è solo il volto burocratico dello strapotere del sistema mercantilistico germanico e globale. E dunque conosce bene qual è la filosofia di fondo dell’Unione Europea ben fissata nei trattati. Nei quali – è utile sottolineare – non è mai contemplata l’erogazione di risorse autenticamente a fondo perduto.
In Europa la parola grants non esiste
In Europa l’unica parola accettabile è loans, cioè prestiti (a interesse); grants (contributi) è invece una parola senza significato dalle parti di Bruxelles. Direi quasi una parolaccia. E anche quando si parla di fondi europei (quasi a invocare effettivamente un contributo a fondo perduto), trattasi in verità di partite di giro che vedono alcuni Stati contributori netti e altri percettori netti.
Per essere ancora più chiari: l’Italia è contributore netto al bilancio UE. Ciò significa che l’Italia, con la sua fiscalità e il suo debito pubblico, contribuisce al bilancio UE più di quanto ottenga sotto forma di fondi strutturali. In altre parole, Bruxelles usa questi contributi statali per erogare fondi europei, che però all’Italia arrivano solo in parte. Dunque, paradossalmente, noi diamo 100 alla UE in contributi al bilancio, e la UE ce ne restituisce sotto forma di fondi strutturali europei, 80. Chiaramente vincolati per destinazione.
Recovery Fund: quasi una partita di giro
Il Recovery Fund funziona quasi come una partita di giro. La UE, infatti, non ha entrate proprie (cioè un fisco diretto), bensì si finanzia solo ed esclusivamente tramite i contributi degli Stati membri. Dunque quei 500 miliardi, benché raccolti tramite bond a tripla A (Recovery Bond), andranno a riflettersi inevitabilmente sui bilanci degli Stati membri, che sono gli unici finanziatori del bilancio UE; bilancio che servirà – appunto – per garantire l’emissione e la solvibilità dei Recovery Bond. E siccome due più due fa quattro, l’Italia rischia di diventare beffardamente uno di quei paesi che contribuirà più di quanto riceverà dal meccanismo inventato dai franco-tedeschi.
Non si tratta dunque di un pasto gratis. E anzi, a conferma soccorre il fatto che per poter “godere” del Recovery Fund, gli Stati interessati dovranno impegnarsi ad attuare le sempiterne riforme strutturali e dovranno utilizzare i soldini solo per ciò che verranno destinati dalla UE.
Ecco dunque servita la fregatura: non solo rischiamo di contribuire al Recovery Fund più di quanto potremmo ottenere sotto forma di risorse (si parla di un raddoppio dei contributi al bilancio UE), ma addirittura rischiamo di ottenere dei soldi (nostri) che dovranno essere spesi solo in un certo modo (la Commissione controllerà).
Recovery Fund e MES
Ma non è tutto. Ho detto che gli Stati che accederanno al fondo dovranno impegnarsi in una serie di riforme strutturali. Questo è un punto fondamentale. Perché intanto verrà riattivato il famigerato Patto Stabilità e Crescita, ed è chiaro che questo comporterà che la Commissione Europea controllerà con una certa solerzia come i soldi verranno spesi e se verranno attuate le riforme richieste (si presume che verrà firmato una sorta di Memorandum), con tutto ciò che ne conseguirà qualora si palesassero delle violazioni.
Perciò l’altra domanda cruciale è: e se il paese interessato oltre a ricevere i fondi del Recovery Fund accedesse follemente al MES light? Cosa accadrebbe?
Accadrebbe che il paese interessato si incatenerebbe da solo per i prossimi vent’anni. Le mancate riforme legate al Recovery Fund, o un errato utilizzo dei fondi, trasformerebbero inevitabilmente il MES light in un MES pieno, con l’inevitabile arrivo della troika, che nel mentre avrebbe già titolo a intervenire qualora il debito pubblico dello Stato interessato, nel medio periodo, diventasse – secondo i parametri UE – “insostenibile”; cosa affatto non improbabile visto che l’accesso al MES (light o no) renderebbe i bond sovrani bond junior, rispetto al credito vantato dal MES medesimo, e visto pure che il MES light non disattiva affatto il sistema di alerta e controllo previsto dai trattati e dal regolamento UE 472/2013.
Le lamentele dei falchi olandesi e austriaci
Dunque perché si lamentano oggi i falchi olandesi e austriaci per l’accordo franco-tedesco sul Recovery Fund? La domanda è pertinente, perché alcuni commentatori hanno offerto questa lamentela come prova inconfutabile circa la bontà del nuovo meccanismo pandemico. La ragione è chiara: i falchi olandesi e austriaci si lamentano non tanto perché i soldi del Recovery Fund saranno soldi “gratis” (cosa affatto vera), quanto perché esso avrà un costo, in quanto – come si è detto – ogni paese membro dovrà aumentare il proprio contributo al bilancio UE, e dunque i suddetti denunciano che tale incremento che serve per garantire i Recovery Bond si rifletterà inevitabilmente a favore dei paesi più indebitati e colpiti dalla pandemia come – appunto – l’Italia e la Spagna (da ridere). Dunque, i suddetti vorrebbero che si contemplassero solo prestiti (condizionati) da restituire, nei quali loro non ci mettano un euro in più (anzi!).
La solidarietà europea è questa. Non esistono pasti gratis.