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La nostra Carta costituzionale, sotto il profilo economico, si muove su due precise direttrici: tutela del risparmio e piena occupazione. Affida allo Stato i precisi compiti di tutelare il primo e creare le condizioni per il raggiungimento del secondo. Nella nostra Costituzione, dunque, non c’è alcuno spazio per lo #spread, e certo non per il rating. Entrambi appartengono a una filosofia economica del tutto avulsa dal dettato costituzionale e per certi versi (parecchi), assolutamente contrari a esso.
Perciò, se qualcuno afferma che non esiste alcuna incompatibilità, erra. Lo spread, per esempio, nelle intenzioni dei suoi ideatori, misura la presunta affidabilità e il costo del debito sovrano rispetto a un parametro #arbitrario preso a riferimento, che nel nostro caso, è il bund tedesco. Dunque più la forbice tra i due indici si allarga, maggiore è o dovrebbe essere l’interesse che lo Stato soggetto allo spread deve pagare per vendere il proprio debito, gravando poi i maggiori interessi sull’economia reale e vanificando in questi termini gli obiettivi economici costituzionali.
Ma qui, in realtà, non si vuole contestare il meccanismo dello spread (seppure ciò sarebbe meritorio), quanto la sua legittimità alla luce del dettato costituzionale. E la sua legittimità o meglio, pseudo-legittimità viene giustificata (seppure surrettiziamente) dal fatto che la Repubblica Italiana, disattendendo i fondamentali principi costituzionali, ha devoluto (rectius: ceduto) la propria sovranità monetaria ed economica alla sovrastruttura europea, rinunciando a controllare il proprio debito sovrano, per renderlo così vulnerabile agli umori e agli obiettivi della speculazione finanziaria che non sempre (anzi quasi mai) coincidono con quelli nazionali.
Se solo si pensasse alle implicazioni che questo storico passo ha comportato sotto il profilo costituzionale, ci si renderebbe conto della pesantezza della situazione e il grave noncumento arrecato al popolo italiano, che in questa prospettiva vede leso il principio della democrazia popolare e il compito costituzionale dello Stato di perseguire gli obiettivi economici e sociali prefissati nella Carta, definiti dai padri costituenti come inderogabili e irrinunciabili, e invece diventati derogabili e rinunciabili.
La questione dunque è chiara. O la sovranità, sancita all’art. 1 (v. qui), appartiene al popolo (pur questo esercitandola nei limiti e nelle forme stabilite nella Costituzione), oppure appartiene allo spread. Non esiste una terza via. Non esiste l’idea che si possa adorare Dio e Mammona. O Dio o Mammona. E peggio, non esiste l’idea che uno Stato, e segnatamente lo Stato italiano, possa far finta che non esistano interi articoli della Costituzione in nome di un posticcio europeismo, che, negli anni, non solo non ha creato benessere, ma ci ha condotti verso una evidente frattura della nostra Carta (v. pareggio di bilancio e vincoli esterni ex-117 Cost.); frattura che – rammento – difficilmente potrà mai essere sanata, se non reintegrando pienamente la #sovranità nazionale violata e rimettendo al centro dell’azione politica, il modello economico costituzionale.