Perché la disgregazione della Repubblica è un pericolo concreto

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Pochi se ne rendono conto, e chi se ne rende conto oggi è bollato come un populista. Ma la Repubblica italiana, nata nel 1948, si trova in una fase di profonda e grave sfilacciamento che prelude alla sua disgregazione. Lo Stato repubblicano, affermatosi con la prospettiva di formare una società evoluta legata al principio lavoristico, sta miseramente affondando, minato alle basi dalla corrosiva ideologia neoliberale e da un esterofilismo disarmante che permea ogni ingranaggio delle istituzioni.

E’ difficile non notarlo, se si hanno gli occhi per guardare. E’ chiaro ed è evidente, che siamo davanti a una costante delegittimazione dello Stato e della sua sovranità. Siamo alla totale dissoluzione della catena di comando, con istituzioni, poteri e organismi che fanno un po’ quello che pare a loro, perseguendo interessi propri e infischiandosene degli organismi politici di vertice che, dal canto loro, ogni giorno si dimostrano palesemente incapaci di dettare una linea politica coerente con la tutela della Patria e dell’interesse nazionale.

La verità è che in questa Repubblica manca ormai il senso di patria e di difesa comune della nazione. Manca quel filo che unisce tutti i poteri e tutte le istituzioni nella difesa della Patria e nella tutela dell’integrità territoriale e dell’interesse nazionale. Esistono gruppi di potere politico ed economico che lavorano contro il paese, i quali ritengono di essere investiti di una missione salvifica, prescindendo dalla volontà popolare, e che anzi ritengono che questa volontà popolare non solo debba essere disprezzata, ma pure doverosamente ignorata.

Ma si sa: il pesce puzza sempre dalla testa. Sicché la corrosione e la decadenza della nostra Repubblica parte, comunque, dalla classe dirigente. E’ evidente, infatti, che abbiamo una élite politica nazionale poco incline a difendere l’interesse nazionale, e in alcuni casi persino convinta che difenderlo – complici i media globalisti – rappresenti una forma di fascismo, quasi che la tutela dell’integrità delle frontiere, la tutela della Nazione e dei suoi interessi, la tutela dell’economia e del benessere della società italiana che viene sintetizzata nel lavoro, siano valori estranei alla Carta del 1948; come se questa benedetta Carta professasse il globalismo, la demolizione dello Stato repubblicano e l’immigrazione senza filtri e senza regole, per autodistruggersi e dissolversi in una struttura oligarchica sovranazionale dominata dal capitale finanziario.

Lo sfilacciamento della nostra Repubblica è un dato di fatto e si è aggravata con l’ingresso nell’Unione Europea e con la sottomissione agli assurdi vincoli di bilancio e al processo di desovranizzazione economico-monetaria. E mentre Germania e Francia se ne sbattono dei suddetti vincoli, adattandoli – se del caso – al loro comodo, noi invece non solo li osserviamo pedissequamente, ma ci voltiamo dall’altra parte, mentre quei vincoli assurdi uccidono il nostro tessuto industriale e sopprimono impietosamente la piena occupazione. A ciò si aggiunga l’ideologia liberal-radicale, che se da una parte cerca di sterilizzare la famiglia naturale come cardine della società, dall’altra vorrebbe un’immigrazione senza limiti e senza restrizioni, peraltro allettata con lo ius soli.

Chiaramente – come spesso è stato detto in questo blog – tutto è parte del progetto neoliberista, di questa ideologia deleteria che mira alla dissoluzione degli Stati nazionali e dunque alla cancellazione o riduzione dei diritti sociali, che passa attraverso l’annientamento del principio lavoristico e della struttura sociale solidaristica, qual è la famiglia ex-art. 29 Cost. Che nel nostro paese ha fatto talmente breccia che oggi è considerato quasi un delitto difendere le frontiere dall’immigrazione illegale, mentre si mettono all’indice le teorie economiche sulla piena occupazione, riducendo la Carta un agglomerato di pseudo-principi pietistici senza costrutto, strumentalmente utilizzata per favorire la demolizione della Repubblica, i suoi confini e il nostro essere popolo e nazione.

Non so, onestamente, se tutto sia recuperabile. Ma è evidente che lo sfilacciamento della Repubblica è a livelli ormai davvero critici. Perché ci possa essere un’inversione di tendenza, che comunque richiederebbe non meno di un ventennio, è necessaria una classe politica rinnovata, fedele in tutto e per tutto alla Costituzione, che favorisca il recupero dell’unità nazionale e del sentimento di patria intorno ai valori fondamentali della nostra carta. Ciò significa il rigetto integrale della visione neoliberista, globalista, liberal e radicale della società. Significa rimettere al centro dell’azione politica l’interesse nazionale, lo sviluppo produttivo e la piena occupazione. Significa rompere la struttura sovraeuropea e recuperare la dimensione naturale della famiglia, l’attuazione integrale del principio lavoristico, la selezione qualitativa e numerica dell’immigrazione, la difesa delle frontiere, e non per ultimo (anzi!) il rigetto di qualsiasi dipendenza dai poteri globalisti e stranieri.

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