Perché l’Italia tradisce la sua Costituzione, aderendo al modello economico UE

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Qualche giorno fa si sono celebrati i settant’anni della nostra Costituzione. Dalle istituzioni, puntuali le frasi a effetto sulla grandezza della nostra carta fondamentale e sulla necessità di tenerla viva nei cuori e nella mente dei cittadini italiani. Tutte belle parole, persino condivisibili, che però hanno il sapore della vuota retorica, poiché, purtroppo, esistono diverse ragioni che inducono a credere che ciò che si afferma a parole, alla fine non corrisponde alla realtà dei fatti e alle azioni politiche di chi le pronuncia.

La verità che la nostra Costituzione oggi viene celebrata, ma da qui a dire che venga rispettata, ci corre non un mare, ma un oceano. E ciò perché da anni ormai è stata relegata al ruolo di orpello decorativo della nostra vita quotidiana, sempre più regolamentata dalle norme europee, che di fatto aggirano la nostra carta, soprattutto in materia economica. Sul punto esistono molti siti web e libri che cercano di spiegare il perché ciò accade. In sintesi, però, la nostra Costituzione prevede una serie di norme, che se da una parte garantiscono la libera iniziativa privata, dall’altra disegnano un modello economico e sociale tendente a raggiungere la massima occupazione e il benessere diffuso. Un modello che negli anni ’50 e ’60 ha garantito al nostro paese un progresso economico e tecnologico straordinario e quella che appunto viene definita massima occupazione. 

Poi però accade qualcosa: questo modello viene parzialmente abbandonato negli anni ’70, con l’affermarsi delle norme ordoliberiste eurocomunitarie. E viene abbandonato soprattutto quando viene riformata la Banca d’Italia che terminava così la sua funzione di prestatore in ultima istanza per il nostro debito pubblico. Da quel momento l’Italia diventa una S.p.A., le cui azioni sono i titoli pubblici che fluttuano sul mercato finanziario. E peggio, da quel preciso istante, inizia la lenta ma inesorabile decadenza economica e sociale del nostro paese, mentre il debito pubblico inizia a levitare esponenzialmente a causa dei continui attacchi speculativi. Il modello economico definito nella nostra Costituzione viene messo sempre più ai margini, anche grazie alla liberalizzazione del settore bancario che vede le banche sempre più broker che investono i risparmi dei cittadini nel mercato finanziario ad alto rendimento (ma anche ad alto rischio) e sempre meno istituti disponibili a finanziare l’economia reale e lo sviluppo economico.

Con l’ingresso nell’Unione Europea (fine anni ’80) e poi con l’ingresso nell’euro, il modello economico e sociale costituzionale viene perciò definitivamente relegato nella soffitta della storia costituzionale del boom economico. Oggi non esiste più alcuna norma che attui quel modello, e anzi, tutte le norme di bilancio e finanziarie dello Stato sono preordinate a rispettare i parametri di Maastricht e i vincoli di bilancio europei, il cui scopo è la stabilità finanziaria, ma non il benessere economico dei cittadini. Ma non è finita qui: per rendere ancora più stringente la perdita di sovranità economica e monetaria, nel 2000 la sinistra di governo costituzionalizza il vincolo dell’ordinamento comunitario, sicché oggi le leggi dello Stato e delle Regioni non possono contrastare con esse anche quando siano lesive dell’interesse nazionale (i tedeschi sul punto sono stati più furbi di noi, e hanno pensato bene di porre la clausola “salvo non siano in contrasto con l’interesse nazionale“).

Da ultimo non possiamo non ricordare il tentativo del governo Renzi (sempre di sinistra) di modificare l’assetto istituzionale del nostro paese, implementato nella Costituzione. Premesso che io non ho un pregiudizio ideologico (come invece hanno i sovranisti) sulla modifica del nostro assetto costituzionale (quanto meno la seconda parte), è chiaro che il tentativo fallito nel 2016 avrebbe peggiorato ancor più la nostra già fragile democrazia, introducendo un sistema istituzionale che avrebbe reso ancora più definitiva la cessione di sovranità nazionale all’Unione Europea con l’ulteriore modifica dell’art. 117, nella cui nuova formulazione la locuzione “ordinamento comunitario” sarebbe stata sostituita con “ordinamento dell’Unione Europea” (sostituzione affatto formale). Peraltro la riforma fallita, avrebbe anche cancellato il CNEL, che oggi in effetti ha poche o nulle funzioni, ma che era un istituto di rilevanza costituzionale fondamentale e cruciale nell’attuazione del modello economico costituzionale.

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