Perché lo Stato (oggi) è in concorrenza con i cittadini per procacciarsi denaro

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Sovranisti e sovranismo. Negli ultimi tempi sentiamo e leggiamo spesso questi termini, e molti sono indotti a credere che il sovranismo sia un sinonimo di patriotismo, e i sovranisti siano i novelli patrioti. Non è proprio così, e l’ho già spiegato in un altro post. In sintesi, il sovranismo in sé è solo un’istanza – condivisibilissima – di ritorno alla sovranità nazionale, perduta con l’adesione ai trattati UE. Basta. Tutto quello che viene dopo e viene predicato da molti sovranisti, non è altro che una riedizione 2.0 del socialismo. Dunque, il sovranismo, sintentizzato nei vari movimenti politici che si richiamano a questa idea, in realtà sono solo dei piccoli partitini neosocialisti, che mitizzano lo statalismo in antitesi al liberismo.

Ma non è di loro che vorrei parlarvi. In un modo o nell’altro, tutti più o meno, nelle premesse ideologiche centrano il problema: la mancanza di sovranità monetaria ed economica del nostro paese, che ci ha portato negli anni al collasso economico, alla povertà dilagante e dunque allo sfascio e alla dissoluzione dei diritti sociali, promossi e alimentati dal modello ordoliberista europeo. Non bisogna infatti dimenticare che l’ordoliberismo (scuola di Friburgo), nonostante sia sinonimo di economia sociale di mercato, promuove una forma di liberismo spinto, ma normativizzato, nel quale la giustizia sociale interviene chirurgicamente solo dove il mercato fallisce, imponendo regole rigide ai bilanci degli Stati, un divieto assoluto di intervento statale nell’economia e la libera circolazione di merci e capitali. In altri termini, l’ordoliberismo nega le politiche monetarie ed economiche anticicliche e il potere degli Stati di attuarle, e nega qualsiasi politica finalizzata a tutelare l’economia nazionale, comprese le politiche protezionistiche. 

Ecco dunque che arriviamo al cuore del problema. Nel modello ordoliberista europeista, gli Stati nazionali sono privati del potere sovrano di stampare moneta e adottano una moneta debito creata da un’autorità indipendente (la BCE). In questo senso non possono in alcun modo attuare politiche economiche e monetarie anticicliche e intervenire autoritativamente per stimolare l’economia in recessione, operando in deficit (obbligo di pareggio di bilancio). Lo stesso debito pubblico, diventa in questi termini debito privato che riflette debito privato (e non debito pubblico che riflette debito privato), poiché nel modello ordoliberista europeista, gli Stati non hanno una banca centrale compratore “residuale” di titoli, e non possono, dunque, in alcun modo calmierare i tassi di interesse; il debito pubblico viene negoziato solo nel mercato finanziario come fosse un pacchetto azionario od obbligazionario. Privi del potere monetario e di controllo del proprio debito pubblico, gli Stati diventano semi-sovrani e dunque super-enti privati che devono necessariamente procacciarsi il denaro, mettendosi in concorrenza con gli altri privati cittadini.

Ecco dunque l’assurda sequenza: lo Stato, oramai ente privato, offre i servizi essenziali ai cittadini, che però hanno un costo, che viene pagato in parte dagli stessi cittadini attraverso la tassazione diretta e (soprattutto) indiretta, e in parte attraverso il debito pubblico (negoziato nei mercati finanziari e dunque suscettibile di crolli e svalutazioni, v. spread), i cui interessi sono un costo crescente da coprire con la tassazione medesima o con altri sistemi meno nobili. In questo circolo tortuoso, diventa dunque “virtuoso” (per abbattere debito e interessi) il taglio lineare della spesa pubblica, l’aumento della pressione fiscale, la riduzione dei diritti sociali, la precarizzazione e la flessibilità del costo del lavoro, che sostituisce così l’inflazione monetaria. Ciò perché a ciò consegue un “alleggerimento” della pressione fiscale e dunque meno o nulli “impegni” dei più ricchi nei confronti della società: lo Stato minimo diventa così uno Stato indifferente alle dinamiche sociali e strumento di potere del cosiddetto “Capitale”.

Un folle progetto che viviamo sulla nostra pelle da anni, tra tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni (sovente a prezzo di costo) e pressione fiscale alle stelle, che se da una parte favoriscono le colonizzazioni mercantilistiche degli Stati più forti e delle grandi corporazioni internazionali, dall’altra impoveriscono sempre più il nostro paese, creando il fenomeno della deindustrializzazione, della delocalizzazione, della conquista del know how e della disoccupazione strutturale o sistemica. Molti oggi sono gli esempi di eccellenze italiane distrutte o colonizzate dalla competizione globale, e molte sono le realtà che hanno deciso di abbandonare il territorio italiano, per rinascere all’estero. Così come è alta la percentuale di giovani italiani che emigrano all’estero per mancanza di prospettive di lavoro, e bassa, quasi a livello zero, la natalità nazionale, per le stesse e medesime ragioni.

In sintesi: lo Stato oggi è un privato che concorre con i propri cittadini nel procacciarsi il denaro per alimentare se stesso e offrire i servizi essenziali agli stessi cittadini. Le fonti di finanziamento sono in prevalenza le tasse e il debito pubblico. Sicché, lo Stato deve escogitare ogni sistema per incamerare soldi (che non stampa) per onorare il proprio debito pubblico (capitale+interessi), e questi sistemi vanno dalla tassazione, alla vendita degli assets nazionali (privatizzazioni), fino ai pesanti tagli su servizi pubblici e sul welfare (il che è un paradosso). Politiche diverse, che non vadano cioè in questa direzione, non sono consentite, poiché porterebbero a un cattivo rating e al pericolo di default. E ciò spiega perché oggi i sistemi democratici siano dei vuoti simulacri. La volontà popolare non determina più l’indirizzo politico dei governi, poiché questo è eterodeterminato (dalla UE, dal FMI e dal sistema finanziario internazionale). Da qui la necessità “sovranista” di rimettere al centro dell’azione politica la nostra Carta fondamentale onde riappropriarsi della piena sovranità, recidendo qualsiasi dipendenza del nostro paese da queste entità sovranazionali e reprimendo la speculazione finanziaria sui titoli di Stato.

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