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I vaccini normalmente sono prodotti il cui scopo è prevenire una malattia pericolosa. Dunque, se io faccio il vaccino contro un’infezione mortale o altamente invalidante, mi aspetto di non contrarla: il mio corpo, grazie al vaccino, riconosce l’agente patogeno e lo distrugge immediatamente. Se un vaccino non previene la malattia, e dunque nonostante questo, contraggo l’infezione, si può parlare ancora di vaccino?
In alcuni casi, il vaccino può richiedere un richiamo (e ne esistono diversi che agiscono in questo modo). Ma quando i richiami iniziano a essere due, tre, o quattro, o non si sa… dipende da come vanno le cose, allora anche qui la domanda è solo una: davanti a un richiamo periodico e cadenzato, si può parlare ancora di vaccino?
Non essendo un medico né uno scienziato, non posso dare una risposta tecnico-scientifica e neanche ci tento. Il buon senso, la logica e la storia però alimentano il mio profondo dubbio. Del resto, se voi acquistaste uno scudo per proteggervi dai colpi di spada del nemico, non potreste mai accettare uno scudo che sì, vi protegge, ma non evita che vi becchiate un fendente della lama avversaria sul presupposto che forse vi ferirà, ma fortunatamente non vi ferirà a morte.
Insomma, considerereste l’ipotesi surreale e inaccettabile e vi rivolgereste a un altro fabbricatore di scudi. Eppure…
Eppure questo è lo stato dell’arte. Ed è questo stato dell’arte che mi porta a considerare l’ipotesi di vaccinazione obbligatoria (e il super green pass per lavorare) come incompatibile con la nostra carta costituzionale. Se un vaccino non impedisce la diffusione del contagio (basta vedere i dati ISS), né protegge a tutto tondo chi lo fa, richiedendosi peraltro un numero di dosi che non è nemmeno definito in modo certo (ieri ne bastavano due, poi oggi sono diventate tre, e già si parla di quarta dose, poi chissà), allora qui ci troviamo su un piano non contemplato come legale dalla nostra carta, soprattutto a fronte di statistiche che danno la gravità e la mortalità da covid piuttosto bassa e concentrata prevalentemente nella fascia di età sopra i 60 anni (v. grafici ISS qui sotto).
Ritengo interessante qui riportare la sentenza della Corte Costituzionale n. 307 del 22 giugno 1990. La massima afferma che «la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’articolo 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto a migliorare o a preservare lo Stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale».
Prima che vi scaldiate è giusto chiarire: la Corte non parla di un diritto alla salute collettiva (non esiste), ma di un interesse, perché è così che poi viene definito nell’art. 32. E seppure sia vero che il vaccino obbligatorio abbia come finalità anche la preservazione della salute altrui, costituendo questa la base della coercizione, essa non può che essere il riflesso della tutela della salute individuale, sicché la salute collettiva viene tutelata ogni qual volta il vaccino tende a migliorare o preservare la salute dell’individuo. Non può perciò invertirsi il rapporto, come invece certuni fanno oggi: la tutela della salute individuale si persegue tutelando la salute collettiva, sicché l’obbligatorietà del vaccino ha come primo scopo la tutela della salute collettiva, anche se questa può creare danno alla salute di qualche individuo.
Se un vaccino non raggiunge lo scopo o non lo raggiunge perfettamente, né lo raggiunge con una posologia ragionevole (v. il grafico ISS sotto), sicché per arginare l’epidemia, è necessario sottoporre il cittadino a una profilassi obbligatoria cadenzata nel tempo e senza un termine finale, e anzi mutevole, allora è chiaro che siamo oltre la previsione dell’art. 32. Non si può pretendere che il singolo cittadino, sano, si sottoponga periodicamente a un trattamento sanitario a tempo indeterminato, sul presupposto che – forse – potrebbe infettarsi, fino al punto di negargli il diritto al lavoro, diritto fondamentalissimo. Sul punto, è bene anche notare che, fino al 2019, non esisteva nessun vaccino obbligatorio per il lavoro che avesse come sanzione l’inibizione al lavoro.
La verità è che qui entra in gioco la dignità umana e dunque il diritto fondamentale a una vita dignitosa che solo il lavoro può dare, e poi l’integrità psico-fisica, che non è altro che il presupposto fondamentale per poter espletare un’attività lavorativa. Entra in gioco il diritto di non vedere il proprio corpo sottoposto a trattamenti sanitari ripetuti nel tempo, non efficaci o scarsamente efficaci o, quand’anche efficaci (!), che si tramutino in vere e proprie terapie senza un termine, non richieste né volute.
L’obbligatorietà del vaccino è di per sé una coercizione indegna di un paese civile, perché imporre una profilassi contro la volontà della persona che deve riceverla non è etico. Avrebbe senso solo se ci si trovasse dinanzi a una malattia il cui tasso di mortalità o le conseguenze altamente invalidanti sono tali che, in assenza di cure efficaci, il vaccino risulta essere effettivamente l’unica soluzione per proteggere se stesso. Ma, è chiaro, che dinanzi a questa ipotesi, l’obbligatorietà sarebbe un di più inutile, perché la gente si riverserebbe in massa a farsi vaccinare.
ADDENDUM. In ipotesi di ricorso, il cittadino dovrebbe dunque concentrare le proprie tesi difensive sull’assenza di ratio costituzionale dell’obbligo vaccinale (e tralascio qui la questione dell’approvazione vs. autorizzazione al commercio dei vaccini contro SARS Covid-19). Se un vaccino non sterilizza e non impedisce il contagio, va da é che la somministrazione obbligatoria si rivela del tutto inutile o comunque poco utile, perché non protegge la persona al 100% (preservando dunque la sua salute) e non tutela la salute collettiva. In questa ipotesi, la norma che prevede l’obbligo è priva di pregio costituzionale, quanto meno secondo i canoni enunciati nella sentenza citata. A maggior ragione se la sanzione prevista per il mancato ottemperamento determina la sospensione dall’attività lavorativa. In questo caso, la norma non solo non risponde al primo comma dell’art. 32 Cost., ma addirittura viola il secondo comma, là dove si afferma che il TSO non deve comunque ledere la dignità della persona. Costringere una persona a vaccinarsi, in cambio della possibilità di lavorare, umilia la dignità umana, andando perciò a collidere con altri principi fondamentali quali quelli previsti all’art. 3, 4 e 36 Cost.