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Non so da dove iniziare a commentare il risultato referendario di ieri, perché ciò che c’è da dire è così tanto che forse ci si potrebbe scrivere un libro. Tuttavia, non ci si può inoltrare nell’avvenutura di scrivere un volume per quanto interessante possa essere. Dunque si cercherà di sintetizzare, partendo dal dato: il sì al taglio dei parlamentari ha sfiorato il 70% dei consensi, contro il 30% dei no. Onore, dunque, a tutti i miei concittadini che hanno resistito alla propaganda disfattista e si sono informati, capendo che la democrazia non si taglia.
Ma è chiaro che non bisogna incolpare del tutto i restante 70% che ha votato sì (e meno chi non è andato a votare o ha votato scheda bianca). Nel senso che, al netto della pigrizia nell’informarsi sull’argomento, la maggior parte di chi ha votato a favore è una vittima. Una vittima del sistema disfattista e denigratorio della democrazia costituzionale e popolare, che da trent’anni almeno ammorba le menti degli italiani con la solfa “casta-cricca-corruzione”, con lo scopo – nemmeno malcelato – di offrire un’interpretazione dell’attività politica democratica come foriera di ingiustificati privilegi e ricettacolo di incompetenti e nullafacenti, e i seggi parlamentari come “poltrone” da tagliare.
Questa propaganda, direttamente connessa all’ideologia neoliberista che mal sopporta la democrazia popolare-costituzionale, si è talmente radicata nella mentalità degli italiani, che è stato quasi del tutto “naturale” votare sì per togliere di mezzo qualche “poltrona” (per usare un termine tristemente in voga).
Gli italiani dunque sono per lo più vittime. Del resto, la loro (la nostra) democrazia risulta ormai essere priva dei naturali anticorpi che dovrebbero difendere l’organismo democratico dai tentativi di sterilizzazione e annichilimento. La Costituzione, invece, è vista come un arnese normativo vetusto che per essere svecchiata deve essere trasformata in tutto quello contro la quale è stata scritta. E questo è un paradosso. Ma fino a un certo punto, visto che lo scopo è da anni proprio di trasformarla in ciò che non è.
E certo non si può affermare che se la mia opinione corrispondesse all’impietoso stato dell’arte della nostra democrazia, allora sarebbe passata anche la riforma del 2016 o quella precedente del 2006. E invece sono proprio quei fallimenti a confermare il mio pensiero. Quei referendum confermativi non sono passati semplicemente perché furono abilmente trasformati in un referendum politico contro chi governava allora (Berlusconi e Renzi). Perciò, la stragrande maggioranza dei no che vennero dati erano no contro quei leader di partito e i loro governi, più che contro le riforme da confermare, che senza le suddette (forti) politicizzazioni, probabilmente sarebbero passate, se non l’una l’altra.
Quello che si può dunque dire, con una certa sicurezza, è che questo referendum certifica la grave crisi in cui versa la nostra democrazia; una crisi che ci sta inerosabilmente traghettando verso un sistema post-democratico, verso un sistema autoritario soft, basato sul controllo tecno-informatico delle dinamiche sociali, delle opinioni e dei movimenti, e nel quale gli istituti di democrazia sono sempre meno determinanti nelle scelte di fondo delle politiche nazionali, peraltro indissolubilmente condizionate dal vincolo esterno (che altro non è che il vincolo dei grandi capitali finanziari, che da decenni sponsorizzano la denigrazione delle democrazie popolari, contrabbandate come foriere di corruzioni, inefficienze e ingiustificati privilegi).
Concludendo, lasciate perdere chi vi dice che il taglio renderà il parlamento più efficiente. Perché se anche fosse (e non lo è), non è l’efficienza a cui pensate istintivamente voi, comuni cittadini, ma è quella a cui pensano le élite, che da sempre sponsorizzano un alleggerimento dell’organo legislativo, per rendere più dinamiche ed efficienti le pressioni per tutelare i loro interessi, che non sono mai gli interessi di tutti. E questo dato – vedrete – verrà confermato quando verranno ridisegnati i collegi e verrà approvata una legge elettorale che sbarrerà la rappresentanza dei piccoli partiti, impedendo peraltro la preferenza nella scelta dei deputati e dei senatori.