Prossima fermata: lo Stato liberale ottocentesco

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Si moltiplicano i rumors che vedono il Governo del “cambiamento” in crisi, mentre i sondaggi danno in calo il M5S e altalenante la Lega (tra guizzi verso l’alto e piccoli cedimenti). Sicuramente, checché i fans ne dicano, il Governo ut supra sta facendo di tutto per far risorgere i partiti del nazareno. Un recente sondaggio di La7 dà il PD poco più sopra il M5S. Qualcuno si consola nel fatto che i sondaggi non sempre corrispondono alla realtà, ma la realtà in questo caso non sta tanto in una percentuale stimata, ma nell’evidente immobilismo della maggioranza gialloverde che offre praterie di consenso alle opposizioni redivive.

Non sto qui a elencarvi dettagliatamente le clamorose mancanze dei gialloverdi, ma sicuramente una panoramica è possibile. Penso alla manovra economica letteralmente “contrattata” con la Commissione Europea, la mancata attuazione dei minibot, la mancata predisposizione di misure antispread, la mancata abrogazione della legge sul bail-in. Per non parlare poi della legge costituzionale per abrogare il pareggio di bilancio mai partorita e mai presentata alle Camere; inoltre – non meno importante – il MoU con la Cina e una sostanziale marcia indietro sui vaccini. E queste sono solo le mancanze più dibattute dai media, e cioè quelle più evidenti, alle quali, per completezza panoramica, aggiungo: la sostanziale assenza geostrategica in Libia che sta lasciando campo libero a Macron (tramite Haftar), l’acritica e automatica adesione all’Unione Bancaria Europea, il mancato veto alla riforma dell’ESM, l’insistenza con l’autonomismo differenziato che rischia di scollare l’unità nazionale.

Insomma, già queste mancanze la dicono lunga sul bluff sovranaro. Se poi aggiungiamo che queste non sono solo il frutto dell’inesperienza (che può anche starci), quanto e di più le figlie di una strategia politica via via sempre più attendista e sterile, il quadro impietoso risulta completo. Peraltro, il fatto stesso che, nonostante gli indici macroeconomici peggiorati e peggioranti, il Governo non si decida a fare politiche espansive coraggiose e rispettose del modello costituzionale (anche a costo di andare contro l’Europa), rende la situazione politica ancora più frustrante. Non solo infatti questa maggioranza di Governo non conosce la Costituzione economica (e non intende farla valere), ma altresì dimostra di ignorare anche quelle soluzioni che potrebbero agevolmente e concretamente indicare la via d’uscita dall’inferno.

La verità, dunque è chiara: i gialloverdi vogliono semplicemente galleggiare e vivere alla giornata, in attesa di un risultato elettorale – quello europeo – che non servirà a nulla, e (forse) di una nuova elemosina eurista (leggi alla voce QE) che possa attutire il crash imminente, proponendo nel mentre le trite e ritrite politiche placebo liberiste, rivelatesi non solo inutili per rilanciare la domanda e l’occupazione (che peraltro l’Europa nemmeno vuole, perché l’occupazione destabilizza le rendite finanziarie), ma oltremodo dannose per i conti pubblici.

Dunque è l’attendismo la politica “regina” di questo Governo. Attendismo in vista delle europee, attendismo in vista di un miracolo monetario, e in difetto di quest’ultimo, attendismo in vista dell’arrivo di qualcuno che – in ossequio alle assurde regole di bilancio europee – si assuma l’onere di fare una manovra economica che insegni definitivamente agli italiani la durezza del vivere.

Il fatto, cari miei, è che non arriverà nessuno da fuori, e dunque chi o coloro che si dovranno assumere l’onere di demolire lo stato sociale costituzionale in modo definitivo e irrecuperabile, dovranno essere necessariamente le forze politiche di questo paese. E qui lo scenario è ancora nebbioso. Perché, fermo restando l’obiettivo di demolizione dello Stato nazionale costituzionale (obiettivo definito fin dai tempi di Maastricht se non da prima), le opzioni sul tavolo sono diverse: un Governo di centrodestra, raccogliticcio in parlamento, che farà le “riforme strutturali” in nome della “responsabilità”; un Governo tecnico sostenuto trasversalmente dalle forze “responsabili”, che agirà per fare quello che gli italiani non riescono a fare (le sempiterne “riforme strutturali” ut supra); oppure questo stesso Governo che, incapace di ragionare in termini di incremento della domanda sul solco del modello costituzionale, si ritrova felicemente costretto (per limiti culturali) ad agire sul lato dell’offerta (in particolare l’export) e delle privatizzazioni (momento Tsipras).

Esistono naturalmente altri scenari, ma tutti, salvo improbabili colpi di scena, portano inevitabilmente verso un unico obiettivo: lo Stato liberale ottocentesco, desovranizzato o meno. Lo Stato minimo, quello che non deve impicciarsi delle dinamiche economiche, che non controlla la moneta (per vincolo interno o esterno, o entrambi), che non può fare politiche occupazionali e sociali (a meno che non si tratti di diritti cosmetici) e che deve rispettare il pareggio di bilancio, perché – appunto – la moneta è scarsa e dunque, essendo scarsa, i soldi non ci sono per tutti, soprattutto per le classi sociali più deboli ed esposte alle crisi economiche congiunturali.

In questo quadro desolante, si potrà pure tornare alla lira. Anzi, potrebbe darsi che, in un prossimo futuro, l’euro possa crollare, ovvero che ci espellano; in tali casi, si tornerebbe inevitabilmente alla moneta nazionale. Ma che nessuno esulti alla prospettiva. Una volta che verrà neutralizzata definitivamente la Costituzione del 1948 nella sua parte economica e sociale, una volta che verrà restaurato nei fatti lo Stato liberale ottocentesco e non esisterà più un welfare degno di questo nome, ci sarà davvero poca differenza tra l’avere una moneta sovrana che opera (sostanzialmente) in un regime di gold standard, e una moneta che opera in un regime di cambi fissi. Se lira sarà, non potrà che essere lira ottocentesca. Se Stato “sovrano” sarà, non potrà che essere Stato sovrano ottocentesco.

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