Reintroduciamo il finanziamento pubblico ai partiti

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Il finanziamento privato ai partiti è estraneo alla democrazia. E lo è per una ragione semplice: il programma del partito lo scriverebbero i potentati economici e finanziari. Non ci credete? Se sono un magnate e finanzio un partito con 10 milioni di euro, credete che poi quel partito farà mai delle leggi contro i miei interessi? Certo che no. Anzi, se io chiedessi al partito di presentare una serie di emendamenti che possano in un qualche modo avvantaggiare i miei affari, statene certi che il partito sarà ben lieto di farlo. E certo non ci saranno reati di corruzione che tengano, perché per il reato di corruzione si deve provare il nesso di causalità tra la dazione di denaro e l’emendamento. Difficile se il magnate si limita a fare una pubblica donazione al partito.

In USA questa si chiama attività di lobbying ed è perfettamente legale (anche sui singoli parlamentari). Ma è la politica dei più forti a danno dei più deboli. Il partito in questo senso non sarà più disposto a fare l’interesse del piccolo, ma di quello che gli garantisce una fonte di finanziamento costante. Che poi questo interesse coincida o meno con quello della massa, è un discorso diverso. Quello che è utile evidenziare è che se l’intervento non è d’interesse del popolo, questa eventualità è irrilevante, perché è rilevante l’interesse di chi mette i soldi.

Ecco perché un sistema che nega il finanziamento pubblico ai partiti e invece incoraggia quello privato fa, sostanzialmente, un grosso favore alle lobby e ai vari potentati economici e finanziari, che in questo modo hanno un ulteriore ed efficace strumento di pressione sulla politica. Il che ci riporta al quadro generale, che vede oggi in Europa e nel nostro paese il dominio dell’ideologia neoliberista.

Il neoliberismo – sappiamo – prevede un affievolimento della democrazia, che non necessariamente si concretizza in una dittatura palese, ma può ben annidarsi nelle stesse istituzioni democratiche, sterilizzandole. Pensiamo alle autorità indipendenti, alla banca centrale indipendente, o ancora al taglio degli stipendi dei parlamenti o al taglio del numero dei parlamentari, e infine all’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. Tutte queste misure (che si innestano in un preciso quadro sociologico e politico), in un modo o nell’altro, mirano a sterilizzare la democrazia, sottraendo ai processi democratici i centri di potere qualificanti per conferirli ai rapporti di forza tra le élite.

La verità è che il finanziamento pubblico ai partiti servirebbe (in concorso con altri accorgimenti) a evitare che il potere (vero) passi ai puri rapporti di forza tra le élite e che dunque la democrazia diventi solo uno “sport” per pochi oligarchi e affaristi. Progetto, questo, che oggi viene imposto all’opinione pubblica grazie alla propaganda di chi pretende di denunciare le presunte inefficienze della democrazia, sostenendo che questa non funzionerebbe perché i parlamentari sono troppi, sono troppo pagati, e perché alla fine la politica sarebbe una formidabile fonte di corruzione. Un mantra che, purtroppo, conosciamo bene e che ci ha portato persino a rimettere oggi in discussione i capisaldi della democrazia costituzionale. Roba che in altri tempi e con altri uomini, avrebbe destato un serio allarme democratico!

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