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E’ ormai palese il tentativo, nel Regno Unito, di fermare la brexit attraverso la continua procrastinazione dell’attivazione dell’art. 50 TUE, in vista di un accordo (deal) con la UE che per gli inglesi risulta essere, allo stato, oggettivamente vessatorio e dannoso. Un accordo sponsorizzato da una parte della classe politica inglese, in sintonia con la burocrazia europea, che non solo non vuole in alcun modo uscire dall’Unione Europea (nonostante il referendum parli chiaro), ma che cerca pure, proprio davanti ai continui ostacoli che vengono frapposti tra l’UK e la libertà, di alimentare l’idea che sia necessario un altro referendum o un rinvio praticamente sine die della clausola exit.
Molti commentatori, soprattutto euristi, usano poi questo chiaro temporeggiamento degli inglesi pro-remain nel Governo, per dimostrare quanto sia difficile uscire dalla UE. Cosa affatto vera, perché il problema delle lungaggini non risiede nelle regole UE, negli accordi e nei trattati, bensì proprio nel comportamento ostativo di quella parte della classe politica inglese a favore del remain, nel fare quello che dovrebbe essere fatto: una brexit no-deal (o hard brexit), e cioè senza accordo e regolato dalle norme WTO.
Dunque la verità è un’altra: non è affatto difficile uscire dalla UE, quando il governanti sono decisi e determinati a farlo. E’ difficile quando non lo sono e quando c’è chi, dentro il governo e fuori, spinge per i continui rinvii con la scusa di trovare un accordo soddisfacente per entrambi e che tuteli gli interessi nazionali.
D’altra parte gli inglesi pro-brexit, che a Londra e a Bruxelles si cerca di fregare, scontano anche la freddezza del Governo May nei confronti di Donald Trump. E’ chiaro, infatti, che questa freddezza – dimostratasi ogni qual volta l’amministrazione USA ha cercato di tendere la mano al Governo inglese – ha finito inevitabilmente per isolare davvero il Regno Unito nella sua trattativa con la UE, fino a rendere questa trattativa se non impari, quanto meno estremamente difficoltosa. E non è detto che tutto ciò non sia stato ricercato proprio dai pro-remain, che non a caso sono poi i maggiori detrattori di Trump in Gran Bretagna.
Perciò è chiaro ed è ineluttabile che i veri nemici della brexit non stanno a Bruxelles, e nemmeno a Berlino o a Parigi, ma stanno a Londra. Un altro Governo e un’altra maggioranza veramente interessate a tutelare gli interessi inglesi e la sovranità del Regno Unito, avrebbero già fatto una brexit no-deal, non oggi, ma ben due anni fa.