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Se la filosofia… pardon, l’ideologia economica è il liberismo, non vi può non essere libera circolazione di merci, persone e capitali. E’ impossibile realizzare un sistema economico liberista, senza la libera circolazione. L’Unione Europea garantisce tutti e tre. Anzi, l’economia dell’Unione Europea si basa essenzialmente sui tre pilastri liberisti della libera circolazione. Per cui, se qualcuno viene a dirvi che no, in Italia il liberismo non esiste, sta propagando una bufala. Esiste perché noi siamo dentro l’Unione Europea, ed esiste perché usiamo una moneta che non controlliamo: l’euro.
Sicché in un simile sistema economico, dove – non a caso – l’intervento dello Stato è stigmatizzato, vietato e persino considerato immorale, per produrre PIL, lo sfortunato paese deve diventare un mercante globale. Deve cioè puntare sulle esportazioni. Cioè deve lasciare indietro la domanda interna, che richiede necessariamente e inevitabilmente un certo interventismo statale, e concentrarsi su quella estera.
Le esportazioni sono dunque il cuore della gretta e darwinista ideologia economica ordoliberista europea. Ed è un sistema che viene incoraggiato sia nei rapporti commerciali tra gli Stati membri, sicché esistono Stati della UE che esportano più di quanto importano dai loro partner europei, e sia, soprattutto nei rapporti commerciali con i paesi extraeuropei. In ogni caso, a farne le spese è sempre l’occupazione interna e i salari, perché, in un sistema di cambi fissi, i vincoli di bilancio derivanti dal Fiscal Compact e dal Trattato di Maastricht, richiedono che la svalutazione competitiva nei rapporti commerciali si scarichi sui salari e non sulla moneta. Più i salari sono bassi, maggiore sarà la competitività nelle esportazioni (e vorrei ben vedere!).
In ogni caso, per quanto tutto ciò per i liberisti possa pure essere “positivo”, il grande difetto di un’economia basata sulle esportazioni riguarda la perdita di autonomia economica, perché la propria ricchezza nazionale dipende dal PIL estero, e dunque dalle vicende economiche e politiche dei paesi con cui si mercanteggia. Vicende esogene che non possono essere controllate né previste. Non a caso, se l’economia di un paese si regge sulle esportazioni degli pneumatici verso gli USA, e per ragioni a noi ignote o comunque non previste, in USA cambiano le loro politiche economiche sugli pneumatici, vietandone l’importazione, oppure incentivando la loro produzione interna, l’impatto che queste politiche avranno sull’economia che dipende dall’esportazione degli pneumatici negli USA sarà piuttosto importante, determinando un crollo drammatico del PIL di quella economia.
Del resto lo possiamo vedere oggi, con il rallentamento della domanda mondiale e con il crollo conseguente della produzione industriale tedesca (a cui volenti o nolenti siamo legati). Anche la nostra già asfittica economia è in seria difficoltà (siamo entrati in recessione tecnica). La forte dipendenza dall’estero e la quasi totale assenza di domanda interna, hanno comportato un veloce deterioramento del nostro PIL (da anni comunque anemico). Per riprendere l’esempio degli pneumatici, la domanda di pneumatici è crollata; e le industrie che producono gli pneumatici dovranno venderli sottocosto al primo che capita, determinando tagli e licenziamenti, con un’ulteriore contrazione del PIL e un’ulteriore aggravarsi della recessione.