Statalismo e (neo)liberismo. Perché non c’entra nulla il socialismo

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Un grande errore concettuale e pratico che commettono in molti, soprattutto quelli che il “liberismo è il fronte della libertà” (e ciò senza neanche sapere cosa sia esattamente il liberismo), è quello di identificare il socialismo/keynesianesimo con lo statalismo, sicché qualsiasi politica che vede “attore” lo Stato viene bollata come politica socialista. L’errore, poi, porta gli stessi a dire che in Italia non c’è mai stato il liberismo, ma solo il comunismo e/o il socialismo e/o qualsiasi altra cosa, tranne che il libero mercato.

Eppure, basterebbero due neuroni per capire come stanno esattamente le cose. E cioè che noi – italiani – da almeno trent’anni viviamo e respiriamo liberismo senza nemmeno accorgercene (leggi qui). Ci lamentiamo delle sue storture, delle sue disgrazie, della sua inefficienza, delle sue ingiustizie, bollandolo però come “socialismo”, perché, complice pure la propaganda, vediamo l’azione statale muoversi in questa direzione e pensiamo: lo Stato crea diseguaglianze e comprime le libertà, dunque ci vorrebbe meno Stato e più mercato per ripristinare il corretto sistema dei diritti e delle libertà.

Poniamoci però la domanda corretta, quella che dovrebbe snebbiarci le idee: quali sono gli interessi che l’azione politica tutela oggigiorno e da trent’anni almeno? Perché, per capire o meno se noi viviamo in un sistema (neo)liberista o (neo)liberale, ovvero in un sistema socialista o keynesiano, non è tanto rilevante capire chi, a livello politico, agisce formalmente in nome del popolo (se un partito dichiaratamente socialista o liberista o nazionalista o regionalista), quanto quali sono gli interessi che concretamente vengono perseguiti e realizzati in nome di quel popolo, e cioè con le cosiddette politiche stataliste.

E’ chiaro però che la risposta a questa domanda non è semplice come sembrerebbe almeno in apparenza. Perché, propedeuticamente, è necessario avere bene in mente la catena del potere economico-istituzionale che governa il nostro paese nella cornice dell’Unione Europea. Senza questa consapevolezza (e senza conoscere la natura della UE), è davvero arduo rispondere, quanto meno senza cadere nella trappola della propaganda neoliberale che ammorba il nostro paese da decenni.

Una volta individuati gli interessi in gioco e come questi vengano perseguiti nella cornice istituzionale europea, la strada verso il discernimento e l’interpretazione corretta del rapporto tra socialismo-keynesiasimo e liberismo-statalismo sarà tutta in discesa. Ma non sarà comunque un bel vedere o sentire, perché uscire dalle trappole ideologiche del mainstream neoliberale comunque provoca dolore e lacerazione dell’anima, in quanto rimette in gioco le convinzioni di una vita.

Il lettore ora si aspetta che spieghi io il significato di quanto ho scritto. Ma non era questa l’intenzione del post, mentre il titolo è più che altro un invito a riflettere sui punti anzi spiegati. Ma, a beneficio di chi legge, do un ulteriore chiarificazione: lo statalismo non è il fine dell’azione politica ma ne è il mezzo. E un po’ come la pinza o il trapano, o il cacciavite per l’operaio. Essendo il mezzo, di per sé lo statalismo è un approccio politico neutro, perché quello che conta è l’obiettivo, e cioè l’interesse perseguito con esso. Ed è qui che entra il gioco la concezione liberale dell’economia vs. quella cosiddetta socialista o keynesiana, poiché è su questo piano, e non sul piano dello statalismo, che si vede esattamente qual è l’approccio socio-economico che domina il nostro tempo. E l’approccio che domina il nostro tempo, a dispetto dello statalismo, è tutto fuorché socialista-keynesiano.

— Nella foto di sfondo, Federico Caffè (economista)

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