Tassa di successione e concentrazione della proprietà immobiliare

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Partiamo da una considerazione basilare. La tassa di successione è quella tassa che va a colpire essenzialmente la proprietà, e in particolare la proprietà di beni immobili, e non è un’imposta progressiva. Fatta questa prima considerazione, andiamo a farne una seconda: in Italia esiste la proprietà immobiliare diffusa. Cioè, i cittadini italiani sono generalmente proprietari delle case in cui vivono. Che siano villette o appartamenti, o cascine, gli italiani non amano vivere in affitto, ma, per costruirsi una certa stabilità, acquistano casa.

Terza premessa. La più importante, per far comprendere il quadro. L’Italia usa l’euro. Sembrerà quasi una ripetizione dell’ovvio, ma (repetita juvant) è importante per capire che c’è correlazione tra tassa di successione, euro e vincoli di bilancio. Ciò perché, l’euro è un cambio fisso, richiede il rispetto di certi vincoli di bilancio, dunque lo Stato non può fare espansione monetaria e fiscale, per cui, per reperire risorse, le deve drenare dall’economia reale. Cioè deve fare esattamente l’opposto di ciò che farebbe uno Stato assennato: prende dai cittadini per offrire servizi che poi, però, fa pagare tramite una tariffa, oppure qualora li offra gratuitamente, seleziona i beneficiari in base al reddito, lasciando fuori ampi strati della popolazione che non solo devono pagare (cornuti), ma che non possono usufruire dei predetti servizi (mazziati).

Tutto ruota intorno alla logica dello Stato-azienda. Lo Stato prima tassa e poi offre un servizio, sotto tariffa. Il fatto che tassi prima di offrire un servizio, risponde alla logica tutta europeista (o ordoliberista) delle coperture. Se vuoi mantenere attivo un servizio pubblico, una struttura di welfare, devi prima garantire i fondi per finanziarlo (cfr. art. 81 Cost. riformato). Insomma, lo Stato-azienda, lo Stato-padre-di-famiglia, lo Stato-privato, che deve recuperare i fondi per offrire servizi, e deve farlo o drenando ricchezza dall’economia reale (tasse), oppure indebitandosi, tenendo però presente che in quest’ultimo caso – semplificando – lo Stato deve offrire garanzie di solvibilità che solo una gestione “ragionieristica” del bilancio può dare; il che richiede appunto una politica fiscale “restrittiva” (ancora tasse). Oppure – che è lo scopo principale dell’euro – opera tagli generosi e sostanziosi al welfare. Se tu, Stato, non vuoi o non puoi tassare, e fermo restando che non puoi monetizzare il tuo debito (vincoli europei), devi necessariamente tagliare, sovvertendo l’equazione della domanda aggregata.

Lo scopo di tutto l’armamentario eurista è alla fine questo: distruggere lo Stato sociale, distruggere le democrazie basate sul principio di uguaglianza sostanziale, per ritornare candidatamente a una versione liberista di Stato, dove viene riconosciuta e garantita l’uguaglianza formale, ma poi, nella sostanza, ognuno si arrangi come può: se hai i soldi puoi curarti e istruirti, se non li hai, muori pure in una catapecchia in subaffitto.

E qui torniamo all’argomento principale di questo post: la tassa di successione. Per alcuni potrebbe sembrare anche una cosa buona e giusta: del resto, il figlio di un miliardario che eredita immobili, titoli, oro, gioielli, conti correnti, yatch, jet privati ecc., giustamente deve pagare. Ma è chiaro che questo è un ragionamento solo apparentemente giusto: quanti sono i miliardari o semplicemente i milionari che trasferiscono sic et sempliciter il proprio patrimonio mortis causa?  Soprattutto, con la libera circolazione di merci e capitali (altro caposaldo liberista), quanti sono realmente i miliardari che prima di schiattare non organizzano per bene la loro successione? Normalmente i miliardari per gestire i loro ingenti patrimoni post-mortem, creano fondazioni, società finanziarie e via dicendo; non lasciano i loro averi così, come li potrebbe lasciare l’operaio, proprietario di appartamento popolare. E se anche li colpisse una tassa di successione, questa per loro sarebbe ben sopportabile.

Dunque chi andrebbe a colpire essenzialmente la tassa di successione, ovvero il suo incremento? Chi dichiara milioni di euro, oppure chi invece dichiara poche migliaia di euro e può vantare al massimo la  casa di proprietà e l’orto di famiglia, e certo non può esportare capitali?

La risposta mi pare agevole, e dunque è giusto che si chiarisca bene lo scopo: l’incremento della tassa di successione ha un duplice fine. Il primo è quello di recuperare risorse a copertura delle spese statali, e in particolar modo a copertura del debito, giudicato troppo alto. Evita dunque ulteriore deficit (che non piace all’Europa); il secondo, nel lungo periodo, è quello di favorire le concentrazioni di capitale immobiliare. Come? Semplice: se l’eredità diventa fondamentalmente un costo insopportabile, perché chi eredita magari è un precario e non può pagare le tasse che gravano sul trasferimento mortis causa, ecco che viene incentivata la tentazione di lasciare l’immobile al proprio destino. L’erede che non può permettersi di pagare la tassa di successione (magari di svariati migliaia di euro), viene incoraggiato a rinunciarvi. Ora qui potrebbe capitare che davanti alla rinunzia, ereditino altri parenti in linea retta, oppure l’erede, pur non rinunziandovi, si mette d’accordo con chi detiene i capitali, il quale gli paga la tassa, a patto poi di ritrasferirgli l’immobile. L’ultima opzione è l’eredità dello Stato, il quale, certo non può accumulare immobili, dunque procede alla messa all’asta, dove la parte del leone la farebbero le società immobiliari, i detentori di capitali, ovvero le banche.

Chiaramente ho semplificato. Ma nel lungo periodo, le semplificazioni funzionano, perché convergono molti fattori: precarietà, scarsa occupazione, decremento demografico, scarsità di denaro, fiscalità esosa. Tutto ciò crea il fertilizzante che rende ostile il mantenimento della proprietà immobiliare o addirittura la sua acquisizione (l’esempio vale anche per le acquisizioni inter vivos). Sicché, gli strati più deboli della popolazione, nel tempo, non riescono più a reggere l’esazione e vi rinunciano, trovando più semplice, in un contesto economico opportunamente precarizzato, vivere in affitto.

L’accumulazione di immobili e capitali nel tempo diventa dunque la regola. Oggi siamo ancora nella fase uno, quello di accumulazione dei capitali (che vengono drenati attraverso repressione fiscale e disoccupazione); manca poco che si passi alla fase due, e cioè quella di accumulazione degli immobili (ricchezza reale), che richiede però l’introduzione di sostanziose tasse patrimoniali, compresa la tassa di successione. E in verità, negli ultimi anni l’insistenza per l’introduzione di questo genere di tasse o l’incremento di quelle esistenti (per esempio, attraverso una rivalutazione degli estimi catastali), vista l’enorme ricchezza immobiliare posseduta dalle famiglie italiane a fronte del debito pubblico, si è fatta ancora più evidente. Si pensi, all’ultimo report di FMI, che richiede appunto la tassa sulla prima casa. Mica a caso…

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