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Su questo blog è stato spesso citato il neoliberismo. Benché qualcuno ritenga che il neoliberismo non esista (come il gender del resto), la sua esistenza è provabile sotto molti aspetti; soprattutto ha una sua genesi storica precisa, che ritroviamo nella conferenza di Lippmann degli anni ’30. Nello stesso blog, è stato altresì spiegato in cosa consista, sottolineando in particolar modo che il neoliberismo non è in realtà una semplice teoria economica che esalta il mercato libero, ma è essenzialmente un’ideologia politica, il cui scopo è plasmare la società secondo determinati canoni, rinvenibili essenzialmente nelle società liberali del diciannovesimo secolo.
Il neoliberismo moderno, dunque, ha essenzialmente tre obiettivi. Vediamoli.
1. Riordinare l’assetto sociale secondo il principio di censo economico: servizi e diritti hanno un valore commerciale, dunque, è necessario che chi ne intenda usufruire debba essere in grado di pagare. Niente è gratis, soprattutto per le classi subalterne. Ciò permette di ridurre al minimo il carico fiscale (avanzo primario) e di garantire le rendite da capitale.
2. Demolizione e neutralizzazione giuridica di tutti quei principi e quelle norme costituzionali che affermano l’universalità delle cure e dell’istruzione; soprattutto però di quelle che impongono l’impegno dello Stato (nazionale) a eliminare ogni ostacolo di ordine economico sociale che possa elevare economicamente e culturalmente le masse. Lo Stato deve essere neutrale e indifferente alle dinamiche economiche, e perché ciò accada, la democrazia – intesa questa come processo decisionale proveniente dal basso – deve assumere una valenza meramente formale che non possa incidere concretamente sulle decisioni fondamentali, riservate alle élite che detengono i capitali.
3. Impedire che le masse, nel mentre e una volta raggiunti i primi due obiettivi, possano risollevarsi, prendere coscienza dei propri diritti e vanificare i primi due obiettivi. Per farlo, dopo aver lavorato sull’architettura costituzionale e istituzionale, è necessario lavorare sulla cultura e l’informazione, affinché le classi subalterne, opportunamente guidate e condizionate, elaborino un profondo senso di colpa (schuld) per la spesa e il debito pubblico finalizzati all’affermazione dei principi di universalità e per la realizzazione dell’uguaglianza sostanziale, e considerino l’uno e l’altro, e nel mezzo la democrazia sostanziale, come un ostacolo al loro benessere (basato sull’indebitamento privato), e non già come la cura al loro malessere (l’indebitamento privato).
Per realizzare i tre obiettivi, l’ideologia neoliberista moderna ha ideato e consolidato il vincolo esterno. Ma cosa è questo vincolo esterno?
Partiamo dal presupposto che le carte costituzionali del ‘900, e in particolare quella italiana, introducono novità dirompenti nel panorama della storia umana post-bellica: l’universalità della sanità e dell’istruzione, l’uguaglianza sostanziale, obblighi positivi in capo allo Stato per eliminare le diseguaglianze economiche, riconoscimento del valore del lavoro e dell’occupazione come preminenti rispetto alla rendita da capitale. Non per ultimo, proprietà privata e libera iniziativa economica coerenti e non in contrasto con l’interesse sociale e nazionale e persino costituzionale.
Si parla in questo senso di democrazia popolare, perché fondata appunto sulla sovranità popolare (v. art. 1 Cost.). Si parla altresì di democrazia sostanziale, perché lo Stato è un attore positivo nelle dinamiche sociali ed economiche, in un’ottica di perseguimento degli obiettivi di uguaglianza sostanziale e di attuazione del principio di universalità.
Orbene, questa “rivoluzione”, fortemente influenzata dall’ideologia socialista, dalla dottrina sociale della Chiesa e dall’elaborazione economica che intendeva superare le distonie del puro liberismo (Keynes), ha tolto letteralmente la terra da sotto i piedi dei grandi capitalisti (soprattutto della finanza). I quali, chiaramente, in un’ottica di riconquista del potere, hanno iniziato a elaborare, fin dagli anni ’30 del secolo scorso, una ideologia politica che, facendo leva sulle suggestioni determinate dall’idea di libertà in contrapposizione all’oppressione marxista-leninista, portasse alla riaffermazione di una società profondamente diseguale e darwiniana, poiché l’unica in grado di garantire l’accentramento delle ricchezze in mano ai pochi, il controllo sociale politicamente deresponsabilizzato in mano alle élite, e infine la creazione e il mantenimento di una classe subalterna dalla quale attingere per impiegare forza lavoro sfruttata e malpagata, che garantisse ampi margini di profitto e di rendita.
Quando si sono affermate le Costituzioni sociali del ‘900 e sono nate ufficialmente le socialdemocrazie, il neoliberismo si è trovato però davanti a un problema fondamentale: le socialdemocrazie erano basate essenzialmente su costituzioni rigide, e dunque difficili da implementare e disintegrare con semplici operazioni di maggioranza. Era necessario dunque elaborare un piano di neutralizzazione più subdolo, più ampio e complesso che avrebbe richiesto molto tempo per vederne i frutti, ma che prima o poi avrebbe dato le sue giuste soddisfazioni.
L’Unione Europea è stato il primo passo, coevo alla nascita dell’ONU e della NATO. Le istanze federaliste europee e le esigenze di difesa nella contrapposizione ideologica USA-URSS – adeguatamente sostenute dal capitalismo finanziario americano – hanno posto le basi per la nascita del cosiddetto vincolo esterno. Il quale consisteva e consiste tuttora in una serie di impegni vincolanti esterni al processo democratico, i quali non possono essere derogati dalla volontà popolare.
L’adesione alla Comunità europea ha rappresentato il primo e concreto passo verso l’affermazione di questo vincolo. Il successivo processo normativo e giurisprudenziale, e il processo di integrazione economica e politica (Unione Europea), hanno poi rafforzato questo vincolo, fino a renderlo del tutto ineliminabile e impermeabile alle Costituzioni socialdemocratiche.
In questo contesto, il neoliberismo – complice il crollo del blocco sovietico e l’affermazione del globalismo (prodotto palesemente liberista in un contesto di forte evoluzione tecnologica) – è riuscito ampiamente a neutralizzare le Costituzioni socialdemocratiche e scavare la democrazia sostanziale dal suo interno, per poi renderla il vuoto simulacro di se stessa, conferendo le decisioni fondamentali al mercato, controllato dai grandi detentori dei capitali finanziari (e dunque dalle élite neoliberiste). E non è difficile toccare con mano la verità di questa affermazione, quando si sentono esortazioni e considerazioni del tipo: “Il mercato insegnerà gli italiani a votare”, o “non possiamo fare questo o quello, perché lo spread salirà”, ovvero ancora “è necessario abbassare il debito pubblico per non essere ricattati dai mercati”. Tutto ciò dimostra che il vincolo esterno, e cioè quel vincolo che rende del tutto inutile il processo democratico, è operativo nella realizzazione e nel mantenimento dei tre obiettivi neoliberisti testé spiegati.